CRONACHE DAL PICCOLO NULLA
di
Eterodossi



Capitolo 9 - Metropolitana bis


 

Alain parla con Carlotta prima di entrare in metropolitana; lei subito contenta di sentirlo; lui appunto timido bofonchia che la invita a cena alla Pizzeria Paisiello, in via Paisiello, davanti alla statua di Paisiello.

Altre telefonate: frustando Zoppi – che risponde con insulti  adeguati – si riesce a scoprire che Quintilio Lucchi risulta trasferito dal Pertini alla clinica della dottoressa Venturi, al ‘Reparto Speciale’. L'ubicazione del ‘Reparto Speciale’ è segreta, incomprensibile e tentativi di avere questa info dall'orda Lucchi si arenano su ossa frontali del cranio tanto dure che, se colpite con un fucile da caccia grossa, salterebbero via come schegge di ardesia.

L’avvocato laziale ha anche provato a ravanare riguardo a Attilia: le ricerche del suo gruppo di survivalisti si arenano ai soliti indirizzi inutili in Trentino. Acqua. Una goccia d’acqua sulle montagne ingolfate tra nebbia.

 

Entriamo a Termini. Si viaggia a salto della rana: Alain prende il treno fino alla fermata successiva. Con quello dopo arriva Vinicio, che si gira la stazione con occhio spiritato – protetto dal vigile occhio sotto spirito del francese. Si finge sperso, se qualcuno fa domande; nessuno fa domande nella metro di Roma? Come farebbe a girare il tipo senza la faccia, i maghi giordani, tre famiglie di rumeni con i bambini ormai pallidi anzi gialli, i borseggiatori col segno del lavoro in faccia? Come potrebbe esserci chi fuma e chi piscia sui binari dalla banchina? Si è umani e civili alla luce del sole. Non per nulla l'inferno è infero.

Quando il posto è noto e sicuro, Alain va alla stazione successiva. Via così. ***

 

Manzoni. Folla che la puzza degli abiti di Vinicio fende come un’aura di santità.

“Non basta che ti lavi più spesso, qui è il guardavoba che va pvomosso socialmente!”

Anche se andasse a fuoco nessuno direbbe niente.

Non c’è nessuno, andiamo via, come Lucio Dalla.

“Vicovdami che ti faccio pvovave i miei vestiti. Ne ho tanti nell'avmadio, se la misuva è giusta, ti puoi dare una bella vipulita! Non si può continuave ad andave in givo con questo... olezzo.”

Sbotta Vinicio:

“Emmo’ che sei diventato a mia madre? Guarda che la spesa la faccio da solo da un po’... Ma se mi passi qualche donna va bene uguale.”

 

Vittorio Emanuele. Vinicio scende solo dal vagone manco fosse il nuovo Bush dall'Air Force One; la stazione butta sul meltin pot romano, il quartiere dove peruviani e capoverdiane contrattano in italiano mutato per delle mutande fatte in Pakistan. Il barbone vacola attirando di nigeriane in lunghi abiti gialli l'attenzione, poi il loro disprezzo per il pezzente – un valore pienamente interazziale.

- Il buono è che mi cancellano dalla mente anche prima che io sparisca dalla vista. -

Alain sale sul vagone per San Giovanni tuffandosi nello spettacolo viaggiante del solito rumeno con fisarmonica pedomunito: se il figlio deve seguire le orme del genitore è bene che già passi tutto il giorno in metropolitana. Il bambinetto dall'incarnato limone – sarà un'impressione? – porge all’elemosina lo sformato bicchiere di coca per raccogliere gli spicci, perfetto alla bisogna residuo della dieta professionale. Alain cerca di attaccare bottone quando scendono alla fermata successiva: l'uomo dall'occhio velato si porta via il bambino giallino troppo in fretta. Alain quasi trascura di controllare la stazione con la pistola penzolante nella manica per aspettare l'arrivo del fetente compagno:

"Guavda che qui dentvo il p-vof Olimpo Ognuno vattelappesca lo hanno visto in tanti. Ho avuto l'impvessione che anche il saltimbanco vumeno sapesse di chi stiamo pavlando..."

"Pure i graffitari non mi son sembrati così puri. Prova a dire la parola 'graffitari'..."

"G-v-a-ffita-v-i. Che cazzo vuoi, st-v-onzo?"

"Impagabile. Che ne pensi di questo?"

"Questo che?"

"Che la gemella poteva fare quello che stiamo facendo noi da un pezzo. Entrare in metro e uscire con la testa mozza del prof sotto il braccino tornito. Invece deve seguire me e usare un testone cretino come Quintilio Lucchi."

"Un'altva tesseva del quadvo che non quadva. Abbiamo le tesseve, niente mosaico. Un sacco di gente deve avevlo visto in questi giovni, ma negano tutti."

“Tutti d'accordo? Mannò che ormai lo so pure io che c'ha il sistema di occultamento mnemonico."

"Qui lo vedi, comunque?"

"Aspetta che mi affaccio all'entrata."

I vigilantes quasi lo buttano fuori. Esibendo il biglietto e a strilli si imbarca per la fermata “Re di Roma” dopo Alain.

 

Re di Roma. Nulla, solo un po' di nervoso in più. Una sensazione sotto la pelle, nel vano della testa vuota. Come il fischiettare di un demone che legge Liberazione... come il verso della bavosa di Gallipoli, che guarda il sole affogare nel mare inquinato .

Con lo sguardo gioco ai quattro cantoni, correndo da un anfratto del sotterraneo all'altro, pronto a carpire qualsiasi movimento sospetto, e passando spesso sul quadrante dell'orologio...

"Qui si tiva a tavdi, e io ho un appuntamento impovtante! "

Comunque con la mano sfioro spesso la .38, come se avessi il timore di non trovarla pronta, al suo posto, nel momento del bisogno; le mani di Vinicio invece scorticano il pacco, un paio di mutandoni incartapecoriti stanno facendo troppo bene il loro lavoro, fra un po' vorranno pure l'aumento. Fa giusto in tempo a finire di grattarsi-e-spostare-la mutanda-che-s'infila-sempre-quando-gratti e la porta del vagone sbuffa al suo posto la noia per l'ennesima tappa verso il nulla.

 

A Pontelungo arrivo che mi frigge la pelle neanche avessi l'orticaria e scendo con l'impeto dei fanti da sbarco di "Salvate il soldato Ryan".

Alain e Vinicio, ci guardiamo nelle palle degli occhi nella stazione fatta più per il nome che per l'utilità:

"Mi sento di mevda. È vicino, il povtinaio del Piccolo Nulla è dannatamente vicino."

"Io questo posto me lo ricordo!" dice Vinicio.

"Solo che hanno cambiato i manifesti..." aggiunge il professor Olimpo Ognuno.

Ci giriamo per vedere il terzo membro del club degli alieni che ci è sbucato alle spalle.

"Quelli della mostra su Cellini erano molto più belli: ma non credo che sareste stati in grado di apprezzarli."

Vorrei prendere la pistola. Vorrei. Non posso. Gli occhi mi fissano come il calibro nero infinito virgola infinito di uno snajiper cosovaro e la voce chioccia riga le meningi. Ecco il professor Orazio Olindo Olimpo Ognuno.

"Voi due siete speciali. Nessuno di coloro che ho conosciuto arriva qui se non voglio. Invece eccovi qui. Interessante. Più di quanto capiate."

Ci sediamo sull'ultima panca della banchina, stazione Pontelungo della metropolitana A a Roma. Il prof a dx, Alain in mezzo. Non c'è quasi nessun altro.

“Pvofessove, pavliamoci chiavo. Lei è l'avtefice di quello che mi è capitato, e fovse le debbo viconoscenza.

Dico fovse, pevché non è stato chiesto il mio paveve, pev quello che mi è stato fatto. E non è detto che, potendo sceglieve, av-vei accettato. Io, cioè Alain, avevo tvovato la pace, fovse l'avevo già assapovata e mi ci evo abituato... tanti anni...

Io, cioè Lazav, stavo pev av-vivavci, alla pace. E ancova una volta qualcuno mi ha pveso pev i capelli e mi ha vipovtato nell'infevno della vita. Quindi non pensi di aveve di fvonte a sé l'essenza della gvatitudine. Neanche cveda che non pvovi qualcosa di positivo pev lei. Ova sono confuso, non viesco a desidevave che accada una cosa piuttosto che un'altva, pevché non so nemmeno di cosa ho bisogno, pev accettave di viveve di nuovo.

Pevò l'istinto di sopvavvivenza si è visvegliato in questa accozzaglia di covpo e anima. E sento di dovevle questo sottile filo di spevanza, spevanza di cosa non so, che mi tiene legato all'esistenza. Allova voglio fave qualcosa pev lei. Se ha bisogno di pvotezione, se ha dei nemici, io le savò accanto.

Ma deve spiegavmi, deve favmi capive con chi abbiamo a che fave. Deve chiavivmi se c'è davvevo da fidavsi di quella dottovessa Ventuvi, pevché io ho qualche dubbio. E poi dopo, quando av-vemo un momento di calma, le chiedevò di divmi pevché pvopvio noi due, Vinicio ed io, come è giunto a noi, quanto c'entva una tevza pevsona che conosciamo tutti e tve. E poi... ancova... quanto duvevà questo supplemento?..."

Il professore ondeggia prima di parlare, ha qualcosa della figlia adottiva che pazientava con noi alla clinica:

"Mio caro amico, non credo che lei avrà molto tempo per proteggermi se parla tanto.

Se, come credono alcuni, l’uomo imparasse sempre dalle sue esperienze, avreste molta saggezza, adesso, voi due.

Siete qui, questo solo conta. Siete ancora nel Cosiddetto Reale per via di un mio affare che quasi non vi riguarda. Di esso vi riguarda che non è stato posto un limite alla vostra vita. Un giorno lo incontrerete. Siete così ansiosi? Io no. Per questo non accetto il limite che i regolatori mi vogliono imporre, dopo secoli di tregua. Che ne capite voialtri del voler vivere…”

“Dopo secoli? Sai che palle…”

“Ho i miei metodi per sfuggire al limite di Gaja. Conoscete Simon Magus? No? Meglio perché non c’entra nulla. Non ne capireste nulla. Non il Piccolo Nulla: nulla e basta.

Ho comprato una consulenza per sopravvivere fino al prossimo giro di valzer – la vostra consulenza.”

“Perché noi? Perché MOMM!?”

“Lo chiamate così, voialtri? Sobek è solo un essere speciale. Siamo tutti speciali: di ciò abbiamo subito paura e della specialità altrui. Sobek si è ritirato dal Cosiddetto Reale per un periodo; non è gran potere, ma il potere.

Dire che le cose sono diverse da come appaiono, questo lo sanno far tutti - comportarsi di conseguenza è di pochi. L’umanità sguazza nella doxa in attesa del beccaio.

Ho incontrato MOMM, l’uomo coccodrillo sulla riva del mare del Nulla. Mi ha offerto degli uomini per proteggermi dai miei nemici, quelli che adesso si fanno chiamare: regolatori. Ma più che uomini per voi ben si adatta l’inglese ‘minion’… o ‘underdog’?”

“Povti un po’ di vispetto – vecchio vimbambito... Ha dei nemici, ochei. Vuole che la pvoteggiamo? Allova pevché non collabova con noi? Bvancoliamo nel buio!”

“Brancolate nel Piccolo Nulla e non lo vedete. Ho già fatto molto per proteggervi. Il mio potere vi ha schermato dallo sguardo dei regolatori.

Loro non hanno l’occhio di Horus, loro. Avreste già fatto quasi tutto quello che serve se aveste già fatto l’intero della metà.”

“I regolatori? Chi sono? È sicuro dei suoi rapporti con la Venturi? Si fida di lei? C'è qualche motivo per cui la Tiziana potrebbe volerla fregare?”

Il vecchio fissa l’altro lato del tunnel a leggere un cartello che non c’è.

“La metropolitana è solo un lungo tunnel, un tubo fisicamente farcito di gente, pieno di umanità. In tutte le città viene usata dagli aspiranti stregoni come collettore. Nessuno che parli con me può nuocermi. Dovreste saperlo – lo diceva anche Adam Smith: Man is naturally simphatetic. Devo spiegarvi cos’è la focalizzazione della simpatia o ammettete subito che non la capireste?”

“Questo fa il furbo – è rincoglionito, invece.” dice Vinicio senza fare caso al vecchio che sta in mezzo, “ la sua figlioccia mi ha resettato!”

“Un giorno hanno chiesto al papa se aveva avuto delle erezioni e Karol ha risposto:

– Sono stato giovane anch’io. –

Adesso io sono vecchio. Ci vedo meglio di voi. Se Tiziana ti avesse messo le mani addosso lo saprei. Sei stato accarezzato dalle portatrici – da Zoe a giudicare dal colore.”

“Che colore!?!”

“Il colore dei pensieri sconnessi che fai, una delle sorelline Vita e Morte ti ha messo le mani addosso… a pensare alle volte che hanno preso il latte da noi e mangiato i biscottini di Giuseppa…”

***Vinicio qualcuna delle cose che dice Alain le condivide pure. Qualcosa non gli torna, più che altro cosa c’entra il passato che sta riaffiorando a velocità tartaruga nella sua capoccia annalcoolata. ***

Vinicio osserva in silenzio i due. Fissa dritto il professore cercando di entrargli nella testa, l’effetto è quello di un fritto con l’acqua. Per quanto abbia dei dubbi cerca di tenere la mente sgombra, di pensare a nulla. Non lo sa perché ma non pensa a nulla. Solo fissa Orazio e si dice che non dovrebbe essere qui. Che nessuno di loro dovrebbe essere lì.

“Perché non dovremmo… essere… qui…” sillaba la tartaruga da sopra il filarino:

“Vuoi delle realtà alternative? E chi ne ha bisogno? Questa è inconoscibile: allora si contenti della sua versione.

Bene che voi due arnesi mi seguiate, però. Forse Sobek ha delle carte che non conosco: dopo il giro di valzer mi dedicherò a frugargli gli assi nelle maniche: i coccodrilli portano la giacca quando giocano a pocher?”

- Che cosa ci costringe a ubbidire a questo vecchio arnese? Che cosa ci impedisce di morire? Che cosa costringe Mamma Odio a ubbidire? –

Quando Vinicio si accorge che la sua mente ha ricominciato a lavorare, la conversazione fra gli altri due è un pezzo avanti.

“Bha – esordisce con la naturalezza dei bambini che interrompono i genitori impegnati in discussioni troppo da grandi – credo di interpretare i dubbi di Monsieur che ancora non ci hai spiegato: perché dovrebbe fregarcene qualcosa di non crepare ancora?"

“L’istinto di vivere resta nel pesce anche se ha conosciuto il boccheggiare sulla spiaggia, anzi in voi dovrebbe essere più forte, già sapendo il valore dell’ultimo pizzico della sabbia della clessidra, credo. Io non so – ho messo la mia in una fornace al tempo di Tito Tazio. Per voi, vedremo se farete gli schifiltosi con la vita quando incontriamo i regolatori, le portatrici e i loro agenti. Sa cosa diceva Claudio Villa:

“Vita sei bella, morte fai schifo.”

Promosso come filosofo, bocciato come artista. Ma che ne capite voialtri di musica...”

“Questa sua convinzione che a noi interessi vivere la rimandiamo a settembre allora, anche se adesso non si fa più; resto della mia idea, se mi ricordo qual è. Etttraparentesi: quando troviamo il suo nemico, chiunque sia, che gli si deve fare? Perché se si tratta di cadaveri anonimi, forse forse uno zombie senza memoria è meno problematico, no? E se invece si tratta di Tiziana, voglio dire, le ha fatto comodo fino adesso, forse nonostante tutto non desidera che sia eliminata, no? Se non mi ha fatto lei le pulizie di pasqua nel cervello sappia che è stata Tiziana, e siamo nei guai. Ma a parte questo, perché poi Tizianuccia dovrebbe volerle fare le scarpe, cioè…perché solo ora? Perché se io fossi stat@ al posto suo mi sarei mossa molto prima. O ha a che fare coi suoi studi dei secoli passati?”

“Mi sarebbe caro spaginare gli elementi da cui vi è sorta questa convinzione. Come vi siete messi in testa che Tiziana Venturi, mia figlia adottiva, si sia decisa ad aiutare i miei nemici? Se siete così acuti dovreste sapere anche perché ‘solo adesso’ ma soprattutto cosa significa rispetto a noi, ora.”

“Noi non dovremmo essere qui perche' avevamo un altro viaggio da fare.

Ma questo e' un altro discorso.

Tiziana. Mente. Dice di non conoscere nulla delle sorelle-candeggia-memoria da anni. Poi ci fa seguire, non si fa trovare, poi dopo aver fatto la finta tonta fa sparire nel nulla l'unica che mi aveva dato delle risposte - la Giuseppa, e pure il Terminator, che magari Zoe lo cercava e noi la incastravamo.

E poi oltre a dire e fare cose che non c'entrano nulla è pure stronza. E se anche prova una qualche forma di riconoscenza di facciata Mamma Odio è talmente avvelenata dentro che se potesse fartela pagare pure a te sarebbe felice. Se tu ci proteggi dai registratori o come cazzo si chiamano che non ci vedono allora dovresti spiegarmi

pure com'è che mi hanno trovato per resettarmi.

Te lo dico io, mi hanno trovato perché li ha mandati Tiziana Venturi, questo è vero come un cassonetto di ferro bavarese. Mi hanno resettato sotto casa della Giuseppa.

Più chiaro di così!”

Alain rincara:

"Non possiamo esseve tanto acuti, pevché nessuno di voi, la Tizianuccia pvima e ova anche lei, pvofessove, non ci ha pavlato chiavamente. Il compovtamento della Ventuvi ci sembva molto sospetto. E' ostile, ve-vso di noi, veticente, svaluta le nostve idee sulle pevsone coinvolte. Pevché pvopvio ova? I suoi nemici hanno offerto alla sua figlioccia qualcosa di più di quello che può offvivle lei, signov OOOO? Oppuve la vicattano, hanno vapito qualcuno che le sta a cuove?

Finché non ci dice senza givi di pavole CHI sono i NEMICI e pevché ce l'hanno con voi, non so pvopvio come potvemo fave pev voi".

Alain si ferma un attimo, per riprendere fiato. Il fumo delle sigarette si è ben piazzato in tutti gli alveoli dei suoi polmoni e quando fa queste tirate pippose l'affanno si fa sentire. Poi riprende:

"A pvoposito, le ho pavlato del mio sogno? Lei ha nominato Sobek. Cosa c'entva una bambina, con Sobek? Io devo andave a tvovave una bambina, questa seva".

La testa del professore ondeggia avanti e dietro e lentamente il nostro protetto comincia ad alzarsi:

"Allora potrò controllare in un modo che non capirete. Vinicio, porgi la mano."

- Sì certo come no... ecco lo sapevo.-

E la mano corre da sola nel palmo teso, un simpatico duetto di barboni.

Appena la mano basca si allunga – il professore la fissa. Ci stiamo per guardare interrogativi sul motivo per cui stiamo a difendere un chiromante in pensione quand’ecco che colpisce la mano di Vinicio con uno schiaffetto, con una velocità che sorprende. Una piccola botta, come lo spacco dei contratti tra vaccari. È la botta che si vede nel prof che ci fa male. Da seduti vediamo che i suoi occhi guardano nel muro alle nostre spalle. Sembra un vecchio di cento anni che abbia scoperto che la sua carta migliore è sparita: gioca a “Sette e Mezzo” col mondo e credeva di avere punto, non ha più quel sei di denari, ma solo due figure, una zoppicante e brizzolata e l’altra senza casa e puzzona. Sono uscite un sacco di figure e adesso deve prendere carta e nel piatto c’è il suo ultimo biglietto della metropolitana per tornare a casa:

"Tiziana è con loro, dunque."

 

Anche Vinicio osserva il muro in trance. Non vede tutto il taroccame del professore, piuttosto un’enorme pubblicità di biancheria intima particciata a pennarello dove si deve.

"Lo sapevo! – nel soprassalto rischio di ingoiare il mozzicone di sigaretta rimasto tra le labbra – Quella tvoietta non mi è piaciuta fin dall'inizio!"

Una lenta sequela di bestemmie basche è una litania che dura circa due minuti. Sembrerebbe davvero una preghiera.

"I miei nemici di oggi sono stati miei alleati per secoli. Non ci può essere nemico più determinato. Ci conosciamo bene. Li chiamereste: preti oppure: maghi. Ora vogliono la mia fine e finiranno anche voi se prevarranno. Tiziana è con loro."

"Oh ma che siamo scemi qui mi da’ da mangiare la caritas e io devo sputare nel piatt… occhei era una battuta.”

"Il mondo è pieno di Giuda, si sa. Ma lei, pvofessove, mi scusi il pavagone, mi vicovda tanto gli Stati Uniti, sa? Anche gli USA si scelgono sempve degli alleati che poi diventano il lovo peggiov nemico! Pensi a Saddam e ai Talebani. E vedvà con quei povci di tevvovisti albanesi! Ma tovniamo a noi. Dobbiamo fave in modo che non pvevalgano. Lei deve aveve fiducia in noi, spiegavci bene come stanno le cose. In cosa evavate alleati, e cosa e quando se li è vitvovati nemici? Qual è la causa? Può esseve la stessa che le ha messo contvo Tiziana la stvonzona?"

Dopo le domande di Alain, una piccola illuminazione cresce nella testolina di Manuel:

- Già... Giuda -.

"Bene professore. La sua fine.. la vogliono perché è un fuggitivo vero?”

"No, non faccia ipotesi, mio caro amico, non ha più strumenti di una scimmia catarrina impadronitasi di un righello.”

Vinicio fa il verso al professore: L'asino che dà del cornuto al Toro.

"Il Reale è incommensurabile, potreste cercare di misurarlo una vita e vi accorgereste solo di una spanna... avete presente l'esperimento ideale di Galileo, le misurazioni ipotetiche... beh, se siete qui occhio e croce voi siete un errore sperimentale.. di solito è un margine scomodo, questa volta voi viti allentate fate gioco sì, ma buon gioco. Sareste utili se… ma che ne capite voi altri di righelli...

Io dovevo passare attraverso un ciclo - una delle poche regole vere del cosiddetto reale. Ho attraversato il mio nadir nel tempo mentre voi avete giocato con Zoe e Attilia. Il mio modo di diventare ancora forte è restare nella metropolitana, poi andare ad un appuntamento. La metropolitana è lunga e si annoda come i capelli di Sansone."

"I Kalpa! Questa la so!" esclama Vinicio.

“Loro – riprende il professore – sono quelli che si preoccupano che non si sgarri al normale corso delle cose… quello che sta bene a loro…”

“Ma tu hai trovato un modo per aggirare le regole e fregarli. Modo che loro conoscono almeno in parte perché se no la piccola Tigre non mi avrebbe smorzato il cervello e anche a costo di abbandonare lo scimmione.

È dovuta scappare una volta ma non lo farà ancora. Abbiamo una mossa di vantaggio.”

“Quell'uomo non è più importante, non conta nulla, come mai esistito, come il Terzo Reich."

"Di che appuntamento parlava? Mi dica prima della bambina."

"Non so nulla di alcuna bambina; deve essere un messaggio di Sobek, del vostro MOMM annidato nel Piccolo Nulla come il lupo nella notte di mezza luna, coccodrillo marino teso alla foce dell’anima. Ormai i miei nemici sono appostati ai cancelli della Narrazione, non ho più libero accesso al Vero Mondo: vi consiglierei di non dare ascolto alcuno ai messaggi che vi arrivino dal Piccolo Nulla, dal Reale senza le vesti della Narrazione. *** I miei nemici sbarrano il passo alla mia voce, leggono la striscia di uno e zero dei vostri sogni."

"Proprio ora che ero in parola con i punkabbestia per una palla di ascisc..."

"Le offro il ritorno della sua memoria, amico basco: invece dell'ascisc mi porti delle alpenlibe, domani."

"Alpenlibe? Domani?"

"Domani. Domani alle sette io devo uscire di qui. Io uscirò e voi sarete qui a proteggermi; se ipotizzaste di mancare all'appuntamento puntualizzerei che senza la vostra scorta verrei raggiunto e ucciso, voi siete i miei due campioni. E portate una macchina."

"Per una caramella porto i cani, – dice Vinicio – se era una bottiglia trovavo pure un carro armato... qualcuno dice che non c’e' differenza... sette di mattina o di sera?

 

Mentre va avanti a botta e risposta la conversazione tra Ognibene e il barbone, Alain si è chiuso in se stesso, concentrato sul discorso inquietante del professore. Nemici ai cancelli della Narrazione, il Vero Mondo… leggono i vostri sogni.

Un brivido intenso lo scuote, sente freddo, il gelo, il gelo della morte? Ibernazione. Questa parola, che perde immediatamente di significato, attraversa come un lampo il suo pensiero.

I binari, la panchina, i suoi compagni. Tutto svanisce.

Alain perde il contatto con sé stesso.

Ora è solo un’entità, una parvenza di vita, chiusa in una stretta gola circondata da pareti rocciose gigantesche. Sotto un cielo scuro e inquietante; colonna sonora: un rombo continuo, minaccioso, l’entità che non sa più il proprio nome, solleva lo sguardo ad esplorare la diga incastonata tra le montagne. Sa che da qualche parte c’è una breccia. Sa che quella diga potrebbe cedere e allora la valanga liquida dei ricordi di vita gli si riverserà addosso, e spazzerà via l’oblio che gli permette di trascinare la sua non-esistenza nel limbo ai confini del reale. E in quel momento non ci saranno più proroghe: sarà la vita o sarà la morte.

Ancora un brivido, poi niente.

Deprivazione sensoriale. Consapevolezza dell’esistenza ma senza alcun canale di comunicazione. Niente vista, né udito, né tatto. Nessun sapore, nessuna lingua da passare sulle labbra. Nessun odore. Ora galleggia nel mare dei ricordi di vita, oltre la diga. Una improvvisa intrusione, come un leggero flusso di corrente elettrica. Qualcuno cerca di comunicare. Solo un attimo. Poi Lazar è di nuovo Alain.

 

“Va bene, pvofessove, ova si comincia a vagionave. Domani seva savò qui con la macchina. Mi sembra saggio povtave anche qualche travestimento, pev uscive di qui senza dave tvoppo nell’occhio. La pistola è sempre con me. Non savebbe meglio che Vinicio vestasse con lei questa notte? Non vovvei domattina tvova-vmi nella tipica situazione da film: avvivo all’appuntamento e il pvofessove è scompavso! E poi mi dica. Andvemo lontano? Stavemo via molto? Sa com’è, devo tvanquillizzave le mie vecchiette.”

"Travestimenti a me non ne servono, mio caro amico. Loro mi sentono a naso. Sono trucchetti, e io non faccio trucchetti: solo trucconi. Non mi possono raggiungere con le loro manine di porcellana, troppo perfettine. Mi faranno fare a pezzi dai loro agenti. Non c’è bisogno che restiate. Il viaggio durerà un paio di giorni al massimo."

"Come pvefevisce. Allova adesso ci dividiamo, usciamo sepavatamente da stazioni divevse. Mi vaccomando, Pvofessove, sia pvudente. E anche tu, Vinicio, vedi di non favti visettave un’altva volta. Fovse è meglio se vesti con me, dovmi a casa mia, stanotte... ma pvima..."

"Ma veramente devo dare da mang..."

"Ma pvima passiamo a dave da mangiave ai cani..."

"OK, OK..."

"Io poi staseva devo incontvavmi con un’amica."

"So, ma io che faccio, resto a casa tua con le vegliarde da solo? Per chi mi hai preso, un maniaco geriatrofilo?"

Poi si gira verso il dottore. Fa per strizzare le guancione a Ognibene, ma uno sguardo da ‘se mi tocchi finisci in un tombino al Tufello’ basta a cremare l’intenzione.

"Io c’ho da fare, qualcosa, ma non so cosa, però mi servono soldi. – rimurgina Vinicio bofonchiando a bassa voce – Così per gusto; andare da un paio di chiromanti e veggenti cartomanti a farmi leggere il futuro; vediamo se vedono anche loro i filmini nei muri."  ***

"Ok, Vinicio, vai pev la tua stvada. Comunque peggio pev te, le vecchiette cucinano molto bene. Ma impavati a memovia il numevo del mio cellulave e chiamami se ci sono pvoblemi: tve quattvo tve... ho detto tve, come la tvinità... quattvo... Nooo, no quatto quatto come il gatto... ho detto quattvo... uffa, te lo scvivo, che è meglio. E ova, pev uscive, vai avanti tu. Io ti seguo e cevco di capive se c’e' qualche pedinatove. Avvivedevci Pvofessove. Domani alle diciannove. Stia in campana!"

"Io sto in campana dal tempo degli etruschi, ragazzo..." – sembra un tartarugone con l’occhio di un vecchissimo roger muur che sappia quello che dice.

 

Alain esce dalla metropolitana osservando attentamente la fauna che circola per i corridoi.

Ci sono quattro ragazzi coi cappelli manuciaeschi e i cani che strillacchiano in accento francese:

"Chi ha scientomila live per andare al cinemà?"

"Mavvaffanculo! – sbotta Alain prima che Vinicio si accorga anche solo del fatto che sta per estrarre la pistola – L'Accento alla FRANsCIESE lo fai con tua madve hai capito stvonzo?!"

Vinicio gli si aggrappa goffo mentre lui teso come una corda di violino sfoga tutta la frustrazione accumulata col dottor Ognibene e le sue simpatiche conoscenze.

"Ma che fai, sei diventato isterico?"

"Io gli spacco la testa a quei bavboni di mev...."

Si fissano. Lasciano perdere.

"Dai vieni che mi offri un caffè corretto"

"E se qualcuno mi viene a dive che siamo alcolizzati lo accoppo come è vevo iddio... che non è vevo, ma lasciamo stave!"

I due si allontanano dalla metropolitana, coppia di palandrani, non vale per la strada più dei ricordi che rappresentano.

 

Siamo riusciti a passare a Ponte Milvio da D'angelo, ferramenta, sulla piazza, dietro l'edicola, portone verde, primo piano, solo gli esperti sanno che ci si trovano i più forniti negozi di ferramenta e elettronica di Roma nord, personale esperto, servizievole e scevro di curiosità.

La voce del commesso è stridula e nasale assieme, insomma una contraddizione che potrebbe far ridere in una commedia splatter ma fa solo incazzare Alain.

Vinicio chiede un'accetta e osserva placido il commesso – poi vediamo se è affilata con le tue orecchie, che mi sono scordato di prendere la pappa alle bestie:

"ACCETTA piccola o ASCIA grande?"

"Guardi, sa com'è, la dovrei poter nascondere dentro il palandrano per coprire la fuga di un mago pazzo in cerca dell'immortalità a rate."

Come previsto chi voleva fare il simpatico non ha nessun senso dell'umorismo.

Indica uno scaffale. Fanno due o tre prove, stile Palpfincscion, quando lui sta per uscire dal negozio dei due sadomaso, sega elettrica compresa.

Una volta soddisfatti vagano per il reparto catene e lucchetti, ma che cazzo sono ‘sti bloster, un po' di sano catename come un tempo no, eh? E i regolatori come li blocco, con una ganascia gialla fino a che non arriva il carro attrezzi? Ma va cager... ah no eccoli quattro metri di catene da un cm e quattro lucchetti.

Vinicio fa la scena del fantasma, pare divertirsi proprio, si gira di spalle, fa un po' di rumore, poi si impicca a un chiodo invisibile.

"Sì va beh pevò muoviamoci!"

"Perché? Sono appena le sei!"

"Sì, ma io devo pvendeve un vegalino pev la mavmocchia, anzi se ti viene in mente qualc..."

"Serve un suggerimento?!"

"Guavda lascia pervdeve."

Giusto il cassiere abbassa l'occhio a mezz'asta per non dar nota che si è stampato in testa le loro facce ed esprimere disapprovazione per la consegna di una accetta-roncola a due tizi che focalizza come un barbone pazzo e un alcolizzato isterico.

Alain riconosce subito l’occhio ad acquario semivuoto. Garbatamente:

“Senta, signove, è inutile fave quella faccia pevplessa. È fovse vietato dalla legge vendeve questi aggeggi a onesti cittadini? I viticci della Bouganville della inquilina del giavdino hanno invaso il nostvo tevvazzo, e ci pvivano della luce. Quindi ova passiamo ai fatti, dato che la signova non pvovvede, taglievemo noi quei ramacci! E poi, scusi, sa, ma savanno CAZZI NOSTVI!?!”

All'arrivo al Volturno, Volturnio è un po' incazzato: i cani hanno fatto i bisogni in cortile che non sarebbe un guaio se non fosse che ci tengono le bici i ragazzetti della vicina e lo hanno detto alla madre. E ora bisogna prendere della sabbia, ma non sarebbe meglio tenerli altrove?

Ci vuole quasi mezz’ora per convincerlo a tenerli. E un’altra mancia.

Alain borbotta qualcosa sullo scherzo delle catene che è costato caro e che metterà tutto in conto a MOMM.

Attendono per un istante risposta dal Piccolo Nulla.

I cani annusano l'aria.

Loro si guardano attorno.

Se ci sei spara un colpo.

Niente.

Peccato, si rilassano e danno da mangiare alle due bestie: palle di toro saltate, gli piacciono tanto, mentre mangiano è meglio non avvicinarsi, notano, quando la più grossa delle due srotola un sorriso che ricorda da vicino quello di Venom, il nemico di Spaider Men.

"Senti, se pev caso tvovo il casting pev 'lo squalo7' ci povtiamo i tuoi cani e smezziamo l'ingaggio."

"Va bene, come crash test dummy portiamo Quintilio Lucchi."

 

Di nuovo in macchina. A tutto vapore (vapore?) i due si dirigono verso il negozio di giocattoli in fondo a Corso Francia.

L'autovettura di Alain parcheggia praticamente fra le mani della commessa e la serranda del negozio.

"Cazzo te lo avevo detto che facevamo tavdi , Manuel!"

Si aggirano tra gli scaffali in cerca di un regalo per Giulia, forsennati, la cassiera - non si sa se troppo gentile o troppo spaventata - attende sulla porta.

Per sicurezza ha il cellulare in mano pronto a chiamare il 113.

A cavallo fra i superliquidetor2500 e il G3A3 della Heckler&Kock elettrico Mr Fernandez ha l'illuminazione per eliminare definitivamente tutti i nemici del Prof:

"Che ci sono le pistole ad acido del Joker?"

"Devi compvave l'acido e spevave che non pevda"

"A me sembra che qui chi perde acido sei tu."

"A me mi sembva che chi si fa i cazzi suoi sono io."

"Questa non era una battuta dei fumetti vero?"

"Guavda che secondo me dave da mangiave ai cani a te fa un cattivo effetto."

"Guarda che non serve fare così, se ti fai venire i travasi di bile diventi verde, alle donne non piace, c'hai presente la storia dell'incredibile Hul..."

"E tu c'hai pvesente cosa fa uno Wookie all'avvevsavio quando pevde?"

"NO…"

"GLI STACCA LE BVACCIA!!!"

La commessa sta per pigiare il tastino verde del cellulare.

Alla fine, dopo aver chiesto alla commessa cosa è adatto per una bambina di 7 anni e aver rifiutato il consiglio di una Barbie, Alain acquista un orso di peluche dalla faccina ammiccante (lo ha attirato, perché sembrava dire: ecco, a me nessuno mi si fila, nessuno mi vuole, ecchèssono un orso cenerentolo!?!).

Vinicio commenta qualcosa, Alain gli abbatte addosso una serie di furiose orsettate che spaventerebbe anche Tyson.

Lo accascia e poi si dirige verso la macchina senza voltarsi.

Pace, sorella commessa…

 

Finalmente i nostri eroi arrivano a casa Meltemi.

Lì l'apriti sesamo di Alain è: “Sono con un amico. Sta a dovmive qui”.

Rapida doccia per dilavare il puzzo di metro. Rapida memoria di quella volta a Mikonos che mi fecero una foto sotto la doccia.

- Ero più giovane, ero ricco, ero vivo - a quel tempo.-

Rapida sbarbatura - quasi mi zappo la faccia. Rapida profumatura.

Giacca, pantalone, camicia aperta.

Rapido furto di tre fiori dal giardino di maman.

Mi lascia fare - se sono per una donna va bene tutto, anche lo scalpo di Pina.

L'ottima cenetta preparata non andrà sprecata, sarà divorata da Vinicio.

Pina intenta a domare il coniglio in fricassea per domani, maman china a mostrare a Vinicio la collezione di coccetti etruschi veri come falsi, falsi come veri, veri veri.

Lui è più interessato alla collezione di bottiglie nel mobile bar che si illumina, accosciati da sinistra: ottimo vino di Oporto, ottimo vino di Xerex, fino, ammontillado, Amarone in terza schiera.

Alain finisce di rassettarsi per benino e vola verso il suo appuntamento con Carla e bambina.

Prima di uscire si fa consigliare un buon ristorante da maman, e prenota un tavolo a La Soffitta, in via Piave.

Dopo aver salutato tutti e aver afferrato in extremis (se lo stava per dimenticare) l'orso cenerentolo per la coda cicciotta, si dirige all'appuntamento, provando sensazioni contrapposte: gioia e senso di malinconia, curiosità e preoccupazione, senso di realizzazione e dubbi del tipo "ma chi me lo fa fare?"

 

Risalto in macchina grugnendo un saluto. Già penso a Carlotta.

Appuntamento con una donna - peggio di espugnare la trincea sopra Sarajevo.

"Ogni volta è un anno in meno che si vive" - Chi l'ha scritto? Tanto non mi hanno sentito.

La serata si preannuncia piacevole.

 

Dopo aver visitato la casa e fattosi idea che ci si potrebbero mettere a vivere oltre quaranta clandestini algerini, giardino compreso, Vinicio si siede finalmente in salottino vicino al televisore con un bicchiere ora pieno di cognac. La tanto cercata bottiglia di Calvados c'era, ma era decisamente vuota - dannato vepovtev - anche se sfuggita alle cure delle vecchine - eradicatori radicali contro ogni forma di sporco e suppellettile inutile (“Alain cavo, cosa ci fa qui questo lingotto d'ovo... se non è il suo posto... io lo butto allova”). Silvie si siede e si scusa dell'abito da sera un po' casual, alla sua età si è costretti a dare la precedenza a certe necessità di comodità a scapito dell'etichetta - leggi: pannolone).

Pina dalla cucina caccia una maledizione alle quaglie lardellate.

"Pina, pev favove, non ci facciamo viconosceve dall'ospite.”

“Scusi signora, quest'accidente m'ha fatto scottare potesselo ammairlo. 'Sto coso... Ma vai un po' a prendertelo nel...”

"Pina?!?!”

“… Scusi , signora, comunque tra non molto sarà pronto."

Vinicio conversa tranquillamente col pannolone, quasi che fosse la cosa più normale del mondo... non più schifosa del dottor Ognibene.

Da Silvie non si fece impressionare più di tanto, lui trovava in quel poco di ovatta incellofanata pure un vago sentore di una vita che fu, poco gradevole ma rassicurante. Ma è Pina che fa scattare un vero senso di casereccia consuetudinarietà...  ciò che serve a Vinicio per sentirsi a suo agio. E incattivirsi.

Medita una serie di domande al fulmicotone per mettere la vecchina alle corde. Domande sul figlio.

Sulla loro ignavia da stramaledette ignare.

Ma no.

Non risponderebbero, l'unico effetto sarebbe farle frignare e guadagnarsi una mascella slogata dal fvancese, che è isterico di ‘sto periodo.

D'altronde è giusto così: i ricordi di contorno non devono avere più sapore di una patata bollita scondita, vero MOMM?

I soprammobili nella testa di maman non mi interessano, lascia che trovi i due neuroni buoni e sono a cavallo. Maman parla con una voce dolce, di marmellata di rose. Vinicio si accorge che non si fa nessuna domanda, non chiede neanche nulla di lui. Sorride tanto, risponde mai - a domande non fatte.

Si rischierebbe di toccare l'argomento del rapporto tra l'ospite con le tre giacche - di cui una usata ma bella, quando nuova e senza macchia di caffè sul gomito - e Alain.

 Nel parlare si potrebbe avvicinarsi al fatto che il suo Alain è morto di AIDS anni fa e non dovrebbe fare inviti a barboni baschi, né a cena, né di alcun genere. La vecchia è astuta - bambina si destreggiava in salotti affilati come cucri prima che i genitori di Lazar nascessero.

È nata a Cap d'Ail, costa azzurra, padre italiano, mamma francese, lei francese mai stata a Parigi.

“Parigi è una città indimenticabile, signora, ti culla come una piuma, ti porta via e quando meno te lo aspetti ti ruba l'anima. Io... io non ne so nulla di quartieri di banlieue, o forse dovrei, ma per me Parigi è un romanzo di Eminguei.”

Quando sono venute in Italia, con la sorella, già era grandicella e quando uno impara a parlare francese ogni altra lingua sembra parlata da un francese.

“Sa… anche io avevo dei problemi di pronuncia... e invece da qualche giorno sono spariti. Sto più tranquillo… sarà che gli acciacchi fanno tanto male ma allo stesso tempo due cose rotte ne fanno una che funziona meglio?”

Anche gli spagnoli durante la guerra di Spagna dicevano che gli invasori francesi andavano ammazzati tutti dai sette anni in su.

“Gli invasori francesi?”

Ma sì nel milleottocentootto, quando Napoleone volle regalare la Spagna al fratello Giuseppe.

“Ahaaaa... Mi parla degli spagnoli... altro che accoppare i francesi dai sette anni in su... gli ignari sono tutti uguali e a San Sebastiano non hanno praticato metodi differenti...”

- Perché è venuta a vivere in Italia.-

Papà era un bell'uomo, molto attivo

- non mi sembra un buon motivo –

gli alleati lo misero in campo di concentramento

- perché era un bell'uomo? Eppoi non erano i tedeschi a giocare coi lager? –

era stato il capo dell'associazione fascista di Monaco

- Monaco di Baviera? La birreria? –

no no Principato di Monaco

- già un bel momento tutta l'Europa era fascista - a parte le isole - ci dovevano essere fascisti pure a Santropé, certo dovevano essere fascisti un po’ strani, camicia nera di seta, manganello tempestato di diamanti...-

Può capire di che crimini razziali si poteva essere macchiato il nonno di Alain alle feste a Montecarlo...

- Immagino... Certo è difficile pensare ad Alain come al figlio di un malvagio gerarca fascista, no, lui è un tipo un po' umorale, questo sì, ma è appunto il carattere del tipo onesto, certo io non lo conosco com'era, ma è un gigante coi piedi di argilla, un gigante buono però.-

La vecchia è scaltra ma il cuore le cede a sentire parlare bene del suo piccino, lo sa pure lei che sto inventando ma il miele per endovena addolcisce qualsiasi percezione, addolcisce tutto, perfino il gusto tetro di una conversazione fra cadaveri. Il cavallo di Troia galoppa sulle frasi fino a Destinazione.

Gli inglesi non vollero sentire ragioni, per loro lui era un gerarca - da iot e serata danzante - un gerarca. Nel '46 era ancora in campo di concentramento inglese, a Livorno.

- Lo avete raggiunto? -

Malaria. Non c'erano medicine. Morì in luglio.

A Roma avevamo la famiglia di mio padre, i nonni, io andai in collegio

- Da piccola le piacevano i coltelli? -

No, che domanda curiosa, ma sono sempre piaciuti ad Alain...

- E suo marito? -

Lo conobbi dai Colonna

- I principi? -

I principi, li conosce?

- come no, nel ’75 frugavamo assieme nei bidoni di Torino …-

era molto più grande di me, un re, il re della dolce vita di Roma,

- D'altronde quante persone possono passare in questo grande fiume e smuoverne le acque,- sono molto poetico e la vecchia a modo suo, un modo semplice ma non facilone, apprezza.

ci sposammo nel ‘66 e subito venne Alain, lui aveva già due figli da un altro matrimonio.

Qualche altro commento sparso su come il destino è beffardo ed enigmatico, certo ha avuto una giovinezza movimentata, quante avventure, ma anche più sventure, non mi stupisce che Alain abbia un carattere forte con dei genitori così... - ma i suoi fratellastri "sapranno"? Impossibile chiedere. -

Ma era molto infelice, io ero una ragazzina, con me era sempre allegro, non capii se non quando era troppo tardi, provò a curarsi, ma i suoi nervi non ressero, la sua ditta di profilati andava male, l'età, io ero malata, sa, la tisi, mi ammalai prima che scoprissero le cure, i medici mi avevano dato per spacciata e dissero: non arriverà a domattina, proviamo questa nuova medicina. Mi salvò, ma ho i polmoni rovinati, poi mi ammalai di cancro, ero a letto quando Pina mi venne a dire che mio marito... se ne era andato. Alain ha sofferto tanto. Deve stargli vicino, io stessa non gli nominavo il padre quasi mai.

Alain prese molto male che suo padre se ne fosse voluto andare e ci avesse lasciati soli. Poi mi risposai, ma il mio secondo marito era un pazzo, tanto affascinante come fidanzato, quanto impossibile come marito.

- Mi parli del rapposto fra Alain e il suo secondo marito mi lasci indovinare un disastro il ragazzino non accettava l'autorità nuova che peraltro non era per nulla autorevole...-

Capivà, un siciliano di Pantellevia, ci povtava in vacanza, Alain aveva da studiave Platone e i vagazzini della zona…

- Mai conosciuto un dottor O-O-O-O, piuttosto, per caso?-

Chi? No, spiacente, un amico di mio mavito?

- E per caso, sempre per caso la Tiziana come vi ha contattato?-

La dottovessa, così a modo, così gentile, eva tanto che non pavlavo con una pevsona così covtese,

- Come ha conosciuto suo figlio Alain, signora? Cazzo ma che domande sono? sono già ubriaco... ma cosa hanno messo nel cognac? -

Ma poi che dirle altro, c'è poca gente che gli sta vicino, al suo Alain - meglio che non sappia chi gli stava vicino PRIMA, a lui sì, ma non proprio a lui. Io non posso stare vicino ad Alain fino a che lui non si riaprirà, ha ancora tutto il peso del suo passato da scrollarsi di dosso. Compreso la famiglia e i falsi ricordi, ma questo non potrei dirglielo nemmeno volendo giacché non ricordo cos'è un falso ricordo. O forse sì, ma non è questo il punto: basta pensare per formattare un quadretto ameno nel cavalcavia fra il Reale e il The End con la T e la E maiuscole. Ma questa sera non ne ho proprio voglia. Come non ne avevo voglia quando ero con Pilar. Voglio solo lasagne e arrosto e agrodolci menzogne. Il terrore del patibolo si supera con un passo più in la dello spostare lo sguardo altrove: ignorare che un patibolo esiste. Ci riuscirò fino a domani.

Alla fine del cognac arriva da mangiare.

Il vino buono è lì che mi guarda da un angolo della credenza, 'sti qua da qualche parte il sangue francese lo hanno eccome. Per questo avranno capito l'andazzo: una bottiglina di cortesia di quello buono e poi invece quello-da-pasteggio. Servono con gentile, consumata noncuranza il metanolo, lo mettono lì come a dire "vedi che gentili che siamo?".  Non si può rifiutare, non che per me faccia differenza, non che me ne ricordi, non che tema le figuracce, forse in un angolino del mio fegato sì, quel ricordo ha resistito alla lavanda, ma lui teme di più i pugni di Alain se gli vomito sul catetere di Maman. Non me ne frega a me ma dopo un po' frega a loro: la lingua si fa pastosa quanto la conversazione. Il  metanolo finisce. La bottiglia bella mi chiama, è una puttana di vetro verde con una grande bocca che se non stai attento ti si attacca a succhiarti l’anima dal manico della panza. Con le quaglie però non c’è controindicazione che tenga, forse un medico della ueituoccier che ti punta una .45 in bocca, altrimenti ci butti sotto un rosso qualunque, dall’amarone al castelluccio fatto con le bustine: sono uccelle cretine che fanno dei pezzi tremendi per attirare i cacciatori e volare nel tegame e poi tutte unte grasse ti scivolano in bocca tutte unte grasse di pancetta.

Quando sento che c’è la crema ho un sussulto di stomaco e poi che dici, scusa ve’?

“Pina, anche se Alain non c’è, non voviniamo la nostva festicciola, povti il tattengé...”

“Il taitttingher? Sciampagn vero su questa cena? Ma allora mi volete morto, anzi ‘mo-v-to’...”

Finiti due calici e poi la bottigliona panciuta, il metanolo mi brucia in stomaco, mi serve dell'acquasanta, dell'acquavite. Non c'è, la bottiglia bella mi chiama, è una sirena con l’etichetta sulla pancia. Devo bere. Ancora, di più, sempre forse.

Scena tipo "fracchia la belva umana". La guardo, la riguardo, loro vorrebbero distrarmi, è per un'occasione speciale. Sono vivo, cosa c'è di più speciale di così? Ma che ne capite voialtri di patiboli. Mi alzo come un elefante in una enoteca, quasi rovescio il tavolo. Non sono veloce ma le vecchie lo sono di meno, l'elastico fra me e la sirena si rilassa.

La bottiglia bella mi ama.

La bottiglia piange e io pure. Scene patetiche senza l'acca. Anche le vecchie. E alè. La guardo, la bottiglia riflette un certo senso esistenziale, di vuoto, ma piccolo, mediocre, meschino, ecco il senso di questo transito. Ritrovo una parte di me, ma di quale me? Poco importa: ora ricordo che quando bevo divento uno splendido intellettuale. Parafrasando il mio salvatore: promosso come poeta, bocciato come filosofo. E ogni ricordo che ricostruisco è un pezzo di lifting metafisico. Stasera so qualcosa di più su di me, stasera SONO qualcosa di più. Una merda d'uomo. Altan non avrebbe fatto di meglio.

La bottiglia bella l'ho amata, era una sirena. 

Le vecchie e la bottiglia mi guardano spente, un barbone tirato troppo a lucido mi guarda da uno specchio. La mia amante è lì. È una sirena: quella che sento da fuori. Che ci fa un’ambulanza qui?

Passa ambulanza corsa bianca e blu alla clinica San Pietro.

Prendendo come punti di riferimento cliniche e ospedali si può disegnare una mappa precisa del mondo.

 

La via dove abita Carlotta è incasinata proprio perché sto arrivando io; di solito è un angolo abbandonato di un quartiere superoccupato.

Difficile parcheggiare, ed ho accumulato già un lievissimo ritardo. Lascio in doppia fila e suono il citofono.

Questa volta non ci sto a pensare. Per farmi affrontare una donna ci vuole la salvezza del professore pazzo che parla di Romolo e Remo come di vecchi amici - un vero macho.

- Po-V-co il mondo che c’ho sotto i piedi -.

“Eccoci, scendiamo subito! - è una voce allegra ed eccitata quella che risponde. Mentre attacca la cornetta, percepisco un "non ci voglio venire" piagnucolato da vocetta infantile, di quelle che ti tirerebbero la sberla dalla mano, ma che ti devi trattenere perché “i bambini sono anime innocenti”.

 

Alain è sul punto di ripetere la scena di qualche tempo fa:

“gira i tacchi e taglia la corda” - dice una vocina che sembra saggia assaje.

Questo non è il momento della saggezza: c’è da visionare la bambina.

Ha fatto un sogno. Giulia=Giulia. Kramer contro Kramer. Cohen e Cohen. Così ecco che il mezzo francese si ritrova a sfoggiare uno dei suoi migliori sorrisi giallini nicotina, non appena sul portone compaiono le due donne - beh, diciamo una e mezza.

Carlotta gli si fa incontro e lo bacia sulla guancia, Giulia resta indietro col volto imbronciato, la testa un po' china e due occhioni verdi che lo scrutano sospettosi. Appare come una graziosa frugoletta bionda, le guance rosa e paffute su un corpicino snello e minuto. Appare. In realtà Alain sospetta che si tratti di un piccolo demonio camuffato da angelo, in quel suo vestitino celeste cielo, il golfino bianco ricamato a fragoline. Anzi, guardando bene gli sembra di intravedere due piccole corna che spuntano sotto il corto caschetto di capelli.

"Ciao, Cavlotta, come stai?"

- tutto qui? che frase banale, Alain. Non ti viene niente di meglio da dire per iniziare la serata?

 

"Benissimo − lo toglie d'imbarazzo lei − Grazie a te! Siamo così contente di uscire con un cavaliere!"

- 'azzo, cominciamo male. Già mi vede come cavaliere, cosa sarò verso mezzanotte?

"Vevamente la signovina qui pvesente non sembva tanto felice!" dice Alain, indicando la smorfiosetta che sta arricciando le labbra.

"Non ci far caso, Alain. Fa sempre così quando vede per la prima volta una persona. – precisa Carlotta – Secondo lei le persone sono tutte antipatiche, tranne chi riesce a dimostrare di esserle simpatico."

"Pevò, è una teovia giusta. − annuisce Alain, mentre apre lo sportello per far salire le due ospiti − Anche io in vealtà la penso così, solo che non evo mai viuscito a espvimevla così chiavamente."

Giulia fa un'espressione soddisfatta, mentre si accomoda sul sedile posteriore:

"Hai visto, mammi. Ciò ragione io. Anche quest'uomo che parla buffo dice che ciò ragione..."

Carlotta, che sta allacciando la cintura di sicurezza, si gira verso la bambina:

"Non 'quest'uomo', tesoro. Ti ho detto che si chiama Alain, e che è un caro amico di mammi e anche tuo, un giorno capirai..."

"EHI" − la interrompe uno strillo di Giulia, mentre Alain sta mettendo in moto, senza intromettersi nella conversazione − GUARDA MAMMI, guarda cosa c'e' qui dietro! Un orsone grosso grosso. Signore... ehm, Alain, chi è questo?"

"È un ovso Ceneventolo. È venuto con me pevché si sente molto solo, dice che nessuno se lo fila. Cevca un bambino che lo voglia come amico. Ma io lo davò solo a un bambino speciale, uno che mi sembvevà capace di pvendevsi cuva di lui. Sai, secondo me i bambini sono tutti sciocchi, tvanne chi mi dimostva di esseve in gamba."

"Ma è bellissimo! Io voglio che sia mio amico. Lo terrò benissimo, lo prometto. Senti Alain, facciamo così: tu mi sei SIMPATICO, e io sono IN GAMBA!"

Fu così che Alain e Giulia diventarono amici, fu così che Carlotta si convinse ancor di più che quell'uomo era l'anima gemella, fu così che l'orso Cenerentolo trovò il suo destino nelle mani di una bambina.

Fu così, parlando di orsi, che arrivarono al ristorante.

 

 

Seduti al tavolo, discretamente apparecchiato in un angolo tranquillo, stanno scegliendo dal menù.

"Voglio la pizza Margherita e la Coca Cola!" esclama decisa Giulia.

Alain la osserva con attenzione. No, non assomiglia per niente alla bambina del sogno-incubo.

“Ottima scelta, anche io pvendevò una pizza Mavghevita, pev cominciave..."

"Ehi, Alain, ma perché parli così strano?" lo interrompe Giulia, facendo sussultare Carlotta, mentre cominciava a dire: "Margherita anche per me."

"Stvano? E cosa ho detto di stvano, signovina?"

"Ah, ah − ride Giulia, abbracciando Cenerentolo seduto sulle sue ginocchia − Non sai dire Margherita, e anche le altre cose le dici buffe!"

"Mavghevita? Cevto che lo so dive! − ribatte Alain, divertito dalla lotta verbale con la bambina – Te lo vipeto anche, se vuoi. MAVGHEVITA. Visto, lo dico bene, no? Non sono io che pavlo stvano, io pavlo giusto. Sono tutti gli altvi, te compvesa, che non sanno pavlave!"

Giulia guarda con due occhi sgranati sua madre.

"È vero, mammi? Solo lui sa parlare bene?"

In quel momento un solerte e barbuto cameriere chiede "Cosa vogliono da bere i signori?"

Ed è allora che Alain dà il meglio di se stesso:

"Tve bivve, anzi no, scusi, due bivve e una coca cola. E poi tve Mavghevita ..."

Le risate senza contegno di Giulia fanno da colonna sonora allo sguardo perplesso del cameriere, chiede:

"Senza patate."

"Sulla pizza Mavghevita non ci vanno le patate..."

"Appunto. Come dicevo io. Niente antipasto?"

"N-o. G-v-a-z-i-e." declina Alain soppesando la pistola nella giacca senza volerlo.

- La pvossima volta mi alleno a spavave contvo la sagoma di un camevieve spivitoso-

Cameriere spiritoso, bambina inutile e donna sola. Manca solo un incendio – le fiamme fanno ciao ciao dalla bocca del forno a legna quando la porta ondeggia sulla cucina.

Mi giro verso la mia dama. Carlotta è bella, la bellezza perfetta della maturità, quel centimetro più vicina che proclama: intimità di spirito, quando già mi dice:

"Raccontami, che hai fatto tutto questo tempo?"

Giulia sta intrecciando le posate − poi massacrerà un pacchetto di grissini, da brava bambina curiosa.

"Eh, io, eh..." − Che gli dico: facevo il gruista in Africa? −

“Io, ehm, sono stato via a lungo. Altvi paesi, altve stovie. Non sempve belle. Non posso divti tutto, Cavlotta, cevca di capive. Ma qualcosa posso vaccontavti, pevché di te mi fido. Come giovnalista sono andato in zone di guevva. In questi anni ce ne sono state tante, non avevo che da sceglieve. Ho pensato che potevo fave scoop stvaordinavi, dave una svolta alla mia vita. E poi, magavi… tovnave da te come vincente…"

“Dove..?..” mormora Carlotta sfoggiando ora uno sguardo affascinato, mentre Giulia sta cercando di infilare un grissino in bocca all'orso e il cameriere riesce a piazzare le tre Margherita sul tavolo, facendo un gioco di equilibrismo.

"Evviva! Si mangia!" esclama la bambina, mollando l'orso a sedere per aria sulla quarta sedia.

"Aspetta, Giulia − interviene sua madre − ti preparo i bocconi, così non fai disastri come al solito."

Questo evento offre ad Alain momenti preziosi per impapocchiare una risposta.

- Dove cazzo sono stato? E se poi mi chiede particolari turistico-geografici? Beh, me la posso cavare in un solo modo.-

“Balcani. Sì, pvopvio nei Balcani. Bosnia, Kosovo, Sevbia. Ottimo tevveno pev tvovave notizie succose. All’inizio è andato tutto bene, ho vealizzato ottimi sev-vizi, ben venduti, ben pagati. Pevò poi le cose sono cambiate. Mi sono trovato, ehm, diciamo coinvolto in stovie poco vaccontabili e… beh, non posso scendeve nei pavticolavi. Diciamo che pev un lungo peviodo ho come... vissuto la vita di un altvo. Ma ova dimmi di te. Come te la passi, come va con Giulia. Mi sembva una bambina felice...”

- Ecco, bravo, una bella domanda indelicata per uscire dalle corde.-

C'è sempre quel centimetro di prossimità che riduce l'esitazione di Carlotta:

"Così sembra. Non è stato facile, lo sai. Lo sai perché me lo hai detto tu: sarebbe stata come una corsa a ostacoli, senza arrivo e nessuno a cui passare il testimone neanche per un giro. Il risultato non lo si sa. È contenta, la mia Giulia, ma so che certe volte dorme male, a volte guarda gli altri bambini con occhi strani."

“Stvani?”

“I maschietti, un po’ c’entra che anche se dici agli insegnanti qual è la situazione, cosa importa a loro, quando arriva la festa del papà tutti gli anni chiedono a Giulia di fare il portacenerino in das per il padre. Tutti gli anni. Comunque non sembra risentirne troppo e adesso stiamo bene. Il lavoro, io e lei.”

“Non hai incontvato nessuno, in questi...” − Eddai, un’altra domanda indiscreta. Così non mi chiede se sono mai resuscitato. Certo ci vuole un battuta per sdrammatizzare...− “... anni, sei una gvan bella donna e intevessante non solo agli occhi di un vepovtev appassionato di bottiglie e sigavette."

"Eri e sei rimasto l'unico che mi parlasse così..."

- Ahi! Errore! Passo falso! Così ridivento il principe azzurro!-

"... ho conosciuto qualcuno, gentucola, lo sai com’è Roma. Com’è provinciale, capitale e paesone provinciale."

- Menar il tema per l'aja!-

"Anche a Belgvado c’è più vita che a Voma."

Giulia ha appena deglutito un boccone, non sembrava seguisse:

"VOMA! Che buffo! Anche a scuola c’è un bambino che dice così, ha il labbro leporino, però."

"Giulia..."

"Non ha detto nulla di male. È un fatto, fa bene a pavlavne."

"Io ci parlo, io non lo prendo in giro mica..."

"Va bene, va bene, finisci. Lascia parlare mamma. Poi se hai fame vediamo cos'altro prendere, tanto lo spazio per un dolcetto c'è sempre, vero, gargantuina mia? Non sai quanto mangia, Alain..."

"Insomma alla fine non hai tvovato nessuno..." − Mettere toppa sul buco come pietra tombale! − “... io ho fvequentato molte donne. Fovse alla fine mi sono abituato a stave da solo. Ho molte cose da fave, non è giusto lasciave qualcuno ad aspettavmi..."

"... A meno che quella donna non voglia anche aspettare. Questo me lo hai insegnato tu..."

- Cazzo! Messo spalle al muro dalle cazzate che dicevo quando non ero me stesso! Urge cambiare strada.-

"Cevto adesso non av-vei neanche il tempo di fav aspettave qualcuno. È molto difficile visistemave le cose quando uno è stato via pev tanto tempo..."

"I miei si danno da fare. Lo sai: tirare su un figlio da soli è difficile. Adesso però ho un mio equilibrio, se posso aiutarti in qualcosa..."

Una casa a due piani, circondata da un piccolo giardino fiorito.

Sbracato sulla sdraio, l'eterna sigaretta accesa, assaporo il calore del sole che troneggia nel cielo azzurro. Poco distante da me, seduta sull'erba a gambe incrociate, Giulia legge un fumetto e, di tanto in tanto, richiama la mia attenzione mostrandomi una vignetta.

"Alain, guarda come è buffo Paperinik!"

Dalla finestra aperta della cucina arriva un piacevole rumore di pentole in azione, mischiato ad una allegra musichetta sparata a medio volume dalla radio.

Poi una Carlotta col sorriso panoramico si affaccia alla porta per avvisare che il pranzo è pronto.

"Alain, tesoro, porta dentro i bambini e fagli lavare le mani. Io preparo la tavola!"

"Fovza signovina − dico rivolto a Giulia − siamo pvonti all'abbuffata quotidiana. Ma guavda un po', tuo fvatello si è addovmentato!"

Mi chino sul passeggino, sgancio la cintura e prendo in braccio il piccolo Dragos ...

DVAGOS!?!

Ma come mi è venuto di dargli questo nome? Potevo chiamarlo Paul. O anche Philippe. Ci sono tanti nomi senza la EVVE!!! Perché proprio Dragos? Eppure ...

"Ehi, signor Meltemi, ti sei incantato? − la voce di Carlotta estrae bruscamente Alain dalla immagine con cuoricini svolazzanti −

"Ehm, scusa Cavlotta, stavo riflettendo su quello che mi hai detto − Alain si salva in corner − Ti vingvazio, cvedo che noi due, anzi noi tve, dov-vemo vedevci più spesso, da ova in poi."

"Oh, sì sì − interviene Giulia che nel frattempo si è impiastricciata la faccia col cioccolato del Profitterol − Mi piace venire in pizzeria. E poi abbiamo un orso da crescere insieme! Me lo lasci l'orso cenerentolo, vero?"

Conto, mancia, manovra difficoltosa per uscire dal parcheggio (il solito cvetino che si mette storto), portone di casa, saluti, ringraziamenti, bacetti. È stata una bella serata.

"Cavlotta, volevo divti che nei pvossimi giovni av-vò alcuni affavi da sbvigave. Fovse non viuscivò a favmi sentive. Ma non pveoccupavti. Appena finita questa stovia di cui mi sto occupando, ti chiamevò e vipvendevemo il nostvo discovso..."

E mentre il portone si chiude alle spalle della donna e mezza, il cuore di Alain si stringe:

" ... spevo."

È stata una bella serata.

Ma ora è tempo di pensare a domani. In un bar a bere. Tornerò a casa domattina. Questa notte è solo mia.

 

“Ogni mattina, nel Reale, un'alterazione si risveglia: sa che dovrà correre o sarà ucciso dalla Nota. Ogni mattina, nel Reale, una Nota si risveglia: sa che dovrà correre o morirà di fame. Quando il sole sorge, non importa se sei un’Alterazione o una Nota: l'importante è che cominci a correre."

È una voce di donna quella che sogna Vinicio, ma in fondo lo sa che è una sua voce interiore. Meglio non dirlo in giro.

Aprendo gli occhi, Vinicio crea il Reale e sveglia la mattina. Il mondo subito lo schiaccia con il greve di un ottimo pasto che lo stomaco rovinato dal vinaccio ha trasformato in peso maldigerito; l'anima, solo l'anima dell'empatico, dell'uomo che si faceva chiamare: erebo, si divincola da quel grave per l'idea del fare.

Onda pensieri spazza tenebra risveglio.

- È mattina del giorno della fuga, o vita o Grande Nulla. Devo raccogliere le forze.-

Quando la vita sfida, la massima arma che il Destino concede è essere preparati a un futuro che non si avvera.

- Annamo bene...-

Nel corridoietto, vestito solo di un asciugamano e dei peli naturali, il basco crea Pina:

"L'abbiamo svegliata, signore, desidera un caffè qualcosa?"

La porta rispose:

"Primo passo: la doccia. Io non darei retta a un cassonetto, se volesse attirare la mia attenzione."

- Neanche io.-

Frush.

Mi vesto con quello che trovo nell'armadio di Alain. Le vecchie sentono, io le ho create, riconoscerebbero il cigolio delle ante fin dal parcheggio. Mi lasciano fare. Quando creo la madre di Alain, genero anche un vassoio di argento, di quelli da inguattarsi subito, su cui stanno caffè, succo di frutta e pasticcini al burro di Svezia. Tutta roba dannosissima per il mio etilismo, ma adesso non posso andare per il sottile anche se non c'entra nulla.

"Ha dovmito bene?”

“Come un sasso. Grazie anche all'ottima cena e alla conversazione di ieri.”

“Sono felice che ci siamo conosciuti, Alain... ha pochi amici. Adesso.”

“Già," è il massimo che potrei dire anche se aggiungerei:

"Non so chi conosceva Lei, ma anche quelli che aveva prima di adesso non erano affatto un granché." Ma no. Anche stavolta me lo tengo per me.

 "Ha così pochi cari, e sempre meno..." La vecchia viaggia sulla settantina, Pina è al terzo tentativo di superare l'assicella a ottanta e dispari − sembra un presagio, un presagio facile, l'unico presagio facile per i nati di donna − faccio il filosofo: "Quelli che ha bastano e durano...”

“Ma non voglio tenevla con le mie chiacchieve di vecchia, ievi seva già l'ho intvonata, pensevà già che c'è una vimbambita fvancese di tvoppo a Voma. Ci vedvemo pvesto, av-và molti impegni."

Mi viene da dire un insensato:

"Resterei volentieri." A cui lei ribatte:

"No, vada, vada, le faccio fave tavdi. Ci vivedvemo pvesto."

Mi alzo spazzando le briciole per non guardarla. La guardo, bravo. Ha gli occhi teneri del saluto. Questo è un presagio di morte. Il Nulla la visiterà, invece mi saluta come se ci dovessimo vedere per tutte le mattine a venire di tutti i tempi a venire. Con un po’ di paura alzo la mano in un saluto, la paura che fa questo inganno, il sorriso per tranquillizzare in me il figlio di qualcuno che è in me, la saldezza davanti al nero Nulla, cadere nel baratro gelido con un sorriso 'stai tranquillo, non succede niente, muoio soltanto.'

Pina entra in cucina, mi saluta con le spalle:

"Arrivederla..."

Nello specchio dell'entrata sembro un ragazzotto di vent'anni sotto carnevale, ma malaticcio, travestito da Dick Tracy dei poveri, con lo sguardo pieno di pena e di dolore. Non è divertente nemmeno un po’, come in sciaining appena prima che arrivi il testimone a svelare il trucco e l'inganno, l'inquadratura cambia. Il barista sparisce, mi sono versato da bere da solo, e resto il solo protagonista di questa sospensione dell'incredulità.

Poi sull'autobus mi alleno a fare facce amichevoli ai passeggeri, un esercizio di stile che qualcosa mi dice ho già tentato altrove. Ma dove? Poco importa. L'impressione finale è sempre la stessa: un orango che fa le faccette.

Sono soddisfatto quando non mi sembro più Albert Fisc prima di mangiare la piccola, la gente non è più preoccupata a notare i miei occhi e l'autobus fa capolinea a piazza Mancini.

Dicustroifdo caixu quanto è tardi, e per fortuna che non sono venuto a piedi. Che poi alla fine facevo prima a immaginarmi già lì, ma questo è troppo difficile per ora. La prossima volta vengo dalla Cassia a cavallo dei cani, una via di mezzo fra un cavaliere dell'apocalisse e babbo natale.

I filippini che fanno la brace in grill con le ruote di plastica in mezzo alla pubblica piazza non mi possono essere utili, coi loro capelli a caschetto, i baffi alla 'Ragno di Mare che aspetta Yanez' e le donne dal trucco viola martellato altrimenti marmellata su olivastro. Poi a quest'ora ci sono solo strozzini e spacciatori. Che fanno la brace. All'EUR si sono fatti fuori le papere del laghetto.


Quando arrivo a casa Vinicio è già uscito. C'è  tutta la mattina per fare eventuali acquisti, preparare uno zaino, oliare (oliare?) la pistola, far fare un controllino alla macchina (non vorrei che si scaricasse la batteria proprio quando sale il professore). Insomma, mattinata e pomeriggio a fare preparativi. Alle 19 precise, appuntamento.

 

A Flaminio si comincia a ragionare. Buona questa, spiritoso. La vendita abusiva di vestiti, roba di cucina, libri usati, CD pirata e borsoni fa convivere − tra tende e cartoni − indigeni, cinesi, nigeriani e singalesi che si apostrofano in napoletano ridanciano. Ancora non va bene. Mi alleno a chiacchierare con il napoletano dei libri su un “mille modi di cucinare il pesce azzurro” − i miei vaghi accenni a un bisnes che non c'è lo insospettiscono − mi basta che non tiri fuori la pistola e sono diventato bravo. Te la faccio breve, a mezzogiorno sono in zona stazione a mangiare alla Caritas. Così ben vestito  mi fanno un sacco di feste e mi danno la zuppa con un muto rimprovero: Se vuoi fare il povero devi anche essere vestito da povero. Se hai la cravatta non sei povero. − Ma che mi posso mangiare la cravatta? Eppoi hai visto che cravatta? − L'incidente del cane e della mia amnesia sono dimenticati. Io continuo a non ricordare, ma due giorni di ricordi sono già una buona base. Ci sono i ragazzi dai capelli stoppacciosi i piedi nudi e i cani borchiati, dal collo crostoso, l'occhio giallo che mi saluta con uno strabuzzo. Un alzata di spalle senza togliere le mani dalle tasche dei cappottoni a quadrettoni del familiare e ammiccante color prugna: il “tra su de ciuk” colpisce ancora. Da qualche parte so che hanno sbagliato paese e decennio, che dovrei spiegare a MOMM che non basta lo schifato ricordo di gioventù di due panchettoni inglesi a fare un quadretto coerente. Ma ora è il meno. Devo convincerlo che mi deve aiutare, ora. Il pancabbestia, intendo.

I tizi non lo cagherebbero nemmeno di striscio, oddio questi hanno il coraggio di scroccare a chiunque: la prova provata che il sangue dalle rape si spreme eccome. Pensa a Vanna Marchi! Vinicio resta li barcollante, indeciso de provare la tecnica sono-un-passante-qualsiasi-sono-un-signore-normale o piuttosto fare l'ammiccante e sedersi fra loro. Ma no, lui è comunque troppo diverso.

"Bumalek fratello”

“C'hai un milllino?"

Vinicio risponde al coro con una bottiglia:

"Non c'ho soldi ma ho trovato questa. Tu c'hai 'na paglia?”

“Equo fratello, equo. Passa qui" La bottiglia si apre da sé, sapevo che rubare a casa di Alain avrebbe dato frutto. Rubato sì,  ma a fin di bene! La bottiglia si apre, va da sé pure il resto. State spesso qui, io no sono di passaggio, ma è un po' che mi scassano il cazzo, no non sono di qua, si sente? Però ho dei contatti vorrei restare, qui i pulotti sono più alla mano, ma a voi nessuno ve la mena? Sì certo anche io ogni tanto è meglio se telo, vabbé però adesso non si può andare avanti così, scusa amico c'hai 'no spiccettto? per esempio in ‘sti giorni non so perché c'è un tipo che mi scassa perché torno dalla caritas in metro, non c'ho il biglietto... e poi chiedo gli spicci, cioè che c'è scritto il tuo nome qui? Beh, ‘sto stronzo ha deciso di ripulire la zona e bravo babbio che ci riesci... mapperò una storia bella bisognerebbe un po' fargliela così va a cagare il cazzo altrove ‘sto fascista di merda. Eh sssì. Esatto. Proprio così. Cioè, amico, se non stiamo uniti ci mettono i piedi in testa. Questo qui crede che è un fumetto, no? Cioè non so se mi capisci, viene lui e magari un paio di amici, ogni tanto si porta una tipa, che tristezza. Tipo i sitiengiels, cioè voglio dire ma come stai? In metro col giubbottino alterna, quattro sfigati nerd merdosi con l'occhiale spesso e il brufolone sul mento, la tipa sfigata come lui che fa il figo solo perché sei in tanti. Cioè, vieni da solo e poi vediamo. Stai messo male, dico io. Al posto di fare il grosso con me per impressionare il cessetto, cioè fatti i cazzi tuoi no? Io non do fastidio a nessuno che se poi do fastidio sono pure cazzi tuoi che è facile sputare i giudizi se pigli 9 pali al mese, infame. Allora io dico che ogni tanto devi alzare la testa e gli-e-lo fai vedere. Solo in gruppo sai fare il cazzone, eh? Epperò perintanto i veri infami vanno a fare i quattrini sulle mineantiuomo e gli conviene che c'è le guerre. Bassstardi. Però una bella storia. Gggiusto. Ci vediamo qui stasera allora. Minchia figata, allora adesso tiro su una colla così stasera c'è da divertirsi di brutto...

Tre ore, pacate senza mai sproloquiare per non dar aria di voler fare l'impiccione logorroico.

- C'ho il fascino emphatico io, il parente del sesto senso emphatico... Di seconda mano vabbè e allora?-

Il mio fascino basta ai punkabbestia e avanza per farli incuriosire, sto sulle mie quanto serve a tirarli in trappola. Tre ore, una bottiglia di buono (rubata) e 9 di metanolo, ho convinto un po' tutti. Loro, l'animaccia di chi m'è mmuorto, l'animaccia di chi m'è vvivo, MOMM. Mi sono convinto pure io.

 

 

 

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