CRONACHE DAL PICCOLO NULLA
di
Eterodossi


Capitolo 7 - Ripartire da zero 

Alain 'affancula un gruppo di zingare coi bimbi attaccati alle zinne mosce e i cartoni da borseggio, tira dritto per via Volturno. Dopo un breve studio per scoprire pali che non ci sono, imbocca su per le scale. Nessuno controlla l'entrata della pensione, i cani sono alla catena nel cortile, fasciature pulite, acqua e pappa - buon segno.

Le scale consunte a tre a tre, un'occhiata palese all'uomo dietro il bancone che stava leggendo 'La morte a Venezia’:

"Cevco Vinicio."

"È nella sua stanza, la terza a’dddestra."

Busso la gran porta dipinta mille volte. Vinicio è sul letto a guardarsi i piedi, non sembra sorpreso di vedermi.

"Stvonzo - spagnolo - figlio di una tvoia con le naccheve! Che cazzo hai fatto? Dove sei andato?...

Dovevamo andave a dive il fatto suo alla Ventuvi, dovevamo scoprive cosa sta succedendo. Ho aspettato che ti facessi vivo. Ti ho cervato, ma tu… niente. "

Lo sguardo del basco conferma i timori comunicati alla Caritas: protende da occhi tondi di bambino interrogato in una lingua sconosciuta su compiti non fatti, su un libro che non ha.

“Credo di essermi perso."

"Che mevda c’hai in quel fvullato di cev-vello? C’abbiamo il culo sulla bvace, e tu mi diventi lo smemovato di Collegno!”

"Magari è colpa mia, non lo so. Ma tu non è che stai meglio." Vinicio fa questa battuta evidentemente per sdrammatizzare, ha l'aria stranamente rilassata. In un certo senso forse meno abbattuta dell'altro giorno, ma resta ancora (un) debole.

Vinicio si ricorda solo che sono un suo amico e che è basco, ma questo perché lo legge sul passaporto. Soffre di una amnesia completa dei fatti avvenuti negli ultimi mesi. Si ricorda dell'esistenza di una donna chiamata Tiziana Venturi e poche altre cose, ma in modo vaghissimo. Non ricorda dell'incontro in metropolitana. È calmo. Sono io che sto per esplodere.

Quando mi calmo cerco di spiegargli per sommi capi chi sono, come siamo legati. Lui annuisce a tutto. Accetta tutto, ma come nuove informazioni, non ha dei ritorni di memoria.

 

“Allova, senti bene il viassuntino del Bignami:

evavamo fvatelli, abbiamo combattuto per il Pathos, ti dice niente questo nome?"

Lui fa una faccia stranita tipo "aspé-che-questa-non-mi-è-nuova." Mi guarda intenso, non annuisce stavolta.

"Pvobabilmente a un cevto momento siamo movti..."

Qui la faccia è davvero stranita. Questa gli è nuova: mi sorride e si guarda le mani.

"E ci siamo vitvovati vivi in covpi divevsi dai nostvi, ma anche questi di pevsone che dovwebbevo esseve movte. Pev questo 'favove vicevuto’…”

- ma chi ha chiesto il favore? sorride-battutina, pare contento di essere qui –

“… dobbiamo pagave un pvezzo, che sembva esseve la pvotezione del pvof. O-O-O-Ognuno, l’avtefice del “mivacolo”, minacciato da misteriosi nemici.

Tu hai già fatto qualcosa pev lui, vitivando e consegnando documenti impovtanti, e io ti ho salvato il culo, quando sei stato aggvedito in metropolitana da un avmadio ambulante e una tvojetta bionda e dotata di avtigli” - alla parola bionda gli occhi di Vinicio si rianimano.

“Abbiamo anche individuato dove vive uno degli scagnozzi, tale Quintilio, ma ancova non abbiamo capito gvanché della situazione di mevda in cui ci tvoviamo. Il nostro unico contatto è stato con la dottoressa Venturi, ma ci ha solo dato ordini, non ci ha spiegato nulla" – sua smorfia tipo ‘olio di ricino’.

"Dovevamo ovganizzavci, ma tu non ti sei più fatto tvovave.

Poi ho scopevto che Quintilio è stato fevito, fovse da un cane, e, guavda caso, anche il tuo cane è fevito, unghiate, come azzannato da un felino. E tu poi! Completamente vincoglionito, come se ti fossi ‘fatto’ con un’ovevdose da cavallo.

Non che pvima fossi molto meglio… Possibile che non vicovdi cosa ti è successo?”

Con un poco di esitazione mi chiede:

"E la tua amica bionda... non è che viene anche lei?"

Ci deve essere il vuoto spinto nella testaccia arruffata se confonde la strega che ci voleva ammazzare per una mia cara amica, devo controllare una cosa: in silenzio gli scosto il colletto. È vero, non ci sono più tracce dei graffi che la medesima belvetta gli aveva fatto - somatizzazione dell'oblio: dimenticata l'aggressione, via anche i segni.

Ecco un altro mistero! È come se fosse stato applicato un potere empatico, tipo quello che avevo io-Lazar. Chissà se sono ancora in grado di usare l’energia vitale? Comunque non ha nessuna importanza. Da… “allora”… ho giurato a me stesso di non usare più nulla che venisse dal mio passato di figlio di Distruzione.

"Resta sicuro che se pure le energie non fossero state risucchiate tutte dal botto come una vasca senza il tappo, forse non è il caso di fare cose che potrebbero farci notare..." mormora Manuel come se quelle parole fossero venute fuori non dalle sue labbra, come se non si rendesse nemmeno bene conto di quello che sta dicendo.

"Cosa stai dicendo?" - salta su Alain come colpito da una frustata - "Di quale botto stai pavlando? Enevgie visucchiate, botto?”

“Beh... sì.” (faccia perplessa)

“Tu che ti vitvovi in un altvo covpo, come se fossi movto... Si può sapeve cosa è successo?”

”Ecco questo non mi è chiaro. Io... non lo so perché ho detto sta cosa. Solo... mi pareva sensata.”

“Pvova a divmelo, pev favove. È impovtante per me, devo capive. I miei ultimi ricovdi si fevmano a metà ottobve, in una notte in cui c'eva solo un cane accanto a me. Cosa è successo, poi?"

"Beh... io non lo so... io non so bene adesso chi sono, più o meno credo che siamo amici e mi sento di fidarmi di questa impressione…" - Vinicio si ferma un attimo, come se il periodo arzigogolato ipotetico carpiato all'indietro non gli tornasse nemmeno a lui – “Beh… non lo so chi sei. Io... mi ricordo solo un ragazzo coi capelli lunghi, un dottore, credo, poi un botto. E poi forse una sbronza, non lo so, cadevo, e poi il cane sta male e a me spiace tanto e io non volevo ma non so che farci va sempre a finire così chi mi conosce poi sta maleee..."

L’angoscia tracima dal basco come un muco appiccicoso e per venti minuti il giornalista italofrancese lotta per arginarlo – se invade la stanza Vinicio va in panico, se Vinicio si fa prendere da Pan urla, se urla il lettore di Mann chiama la polizia.

Solo il passato lo può salvare:

“Ti prometto che cercherò di spiegarti quello che so del nostro comune passato.”

“Occhei.”

Funziona. Pare tenerci. Possiamo fare progressi assieme.

“… Però da adesso in poi devi stare in continuo contatto con me.”

“Occhei, ci provo.”

Frughiamo la sua roba. Anzi fruga Vinicio, soprattutto il cappotto che perde le croste.

Da una tasca interna vengono fuori una chiave e un biglietto della metro. Alain si cava gli occhi daltonici per leggere il biglietto: è del giorno in cui è stato aggredito, pomeriggio. Sopra c’è anche scritto il numero della cassetta postale dell’ufficio della stazione:

“Ti sei pveso una cassetta? Quando? Con che denavo?”

Espressione: muro imbiancato a calce.

Altro appunto su un appuntamento, domani a mezzogiorno, piazza Indipendenza, PILAR.

“Pilav? Pilav? Pilav chi?”

Muro imbiancato a calce, che sorride. Sornione, anzi: sovnione.

- Sovnione di che? Che non sai chi sia?-

Per questa notte può restare lì, nella pensione, dovrebbe essere al sicuro. Domattina passerò a prenderlo e faremo prima un giro per informazioni.

“Un giro dove? CHE INFO? Beh.. io qui ci sto bene ma per quel che ricordo… un posto vale l'altro.”

Alain pianifica:

“C'è l'appuntamento alla clinica delle Venturi.”

“Giusto, devo parlare alla mamma... non ho voglia…”

“Poi potremmo fare un salto al Pertini per una "visitina" a Quintilio.”

Faccia da Orecchie Tese:

”E chi é?”

“A mezzogiorno Manuel devi incontrare la misteviosa Pilav. Questa storia non mi piace per niente.”

“E perché? magari è un'amica...”

“Sì, come la bionda... Mi povto la pistola quando la vedi.”

 

A notte fonda, Silvie sta ancora guardando la televisione:

“Domattina mi alzo pvesto, maman, ho da fave..."

"Volevo pvopvio divti che domani avviva il tuo amico per una visita e che savebbe meglio che non ti tvovasse qui. Ho ovganizzato qualche lavovetto di giavdinaggio - c'è da spostave i limoni - e così avrò il tempo di spiegavgli la situazione - lavovo fisico, avia apevta, la nostva casa... spevo che non ti dispiaccia, ma pensa se ti tvovasse qui, nelle condizioni in cui è..."

Mamma ha le idee chiare e ragione da vendere, Giannini non mi deve rivedere, la sua mente è appesa a un filo:

"Tovnevò in sevata. Occupatene tu, è solo che vovvei la colazione pvima del solito."

"Lo divò io a Pina, lo sai che dovmiamo tanto poco, due vecchie, poi puve stanotte ho avuto bisogno della bombola."

"Pevché non vai a viposave subito, allova..."

Questi problemi di enfisema sono troppo frequenti, già da un po’ ho preso a preoccuparmi per la mia nuova madre.

"No, no, è inutile, non dovmo, stai tvanquillo, vai tu a viposare, ti ho visto uscive agitato..."

"È tutto a posto, adesso, un amico aveva dimenticato… una cosa."

"Hai di nuovo altri amici? Li conosco?"

"Buonanotte, mamma."

Niente bacio: sono fatto così. In camera mi metto a riflettere sugli ultimi avvenimenti: dobbiamo ricostruire i movimenti di Vinicio negli ultimi giorni, parlare con la Venturi per farci dare altri appigli, ovvero prendere le redini o finire mangiati dalla tigre.

In internet trovo l'informazione che già immaginavo: Ospedale Pertini - ricevimento parenti mattina e pomeriggio.

 

Un po’ di toletta, il letto fresco e profumato. Addormentarsi con la speranza del risveglio.

Nello stesso istante Manuel si gira nella pensione, dopo un'ultima visita ai cani. Prima di addormentarsi cerca dei motivi di preoccupazione; con piacere vede che senza passato c'è solo la promessa del futuro. Anche per lui il presente è la fresca notte di Roma. Buonanotte, mondo.

 

Giorno +7

 

Esco di casa come un furetto, cioè mi metto le scarpe e sono già in strada, la gente mi guarda sconvolta?

- Non c'è nessuno, ma è un condominio di zombie, questo? –

So che ci deve essere una specie di bordello all'ultimo - mamma non sa dirmi nulla, Pina ha sparso insulti ortonesi in ugual misura per tutti gli altri inquilini, la lingua della vecchia è peggio di una mannaietta.

Adesso non importa mentre guido spedito verso la stazione, sapendo che parcheggio senza problemi se anticipo ministeriali e universitari.

Sono a Volturno alle otto meno dieci e già ci sono i vecchi in attesa davanti al cinema porno. Il portiere della pensione, che deve essere anche il proprietario, mi dice che 'lo spagnolo è uscito, ha detto che torna'.

Rabbia e nervoso mi bollono dentro, con chi è uscito? Hai notato qualcosa di strano, uomo col libro? Forse con la trentotto in bocca ti viene la memoria eidetica.

Invece mi trattengo e sembro quasi tranquillo, indifferente...

E funziona: mi dice per filo e per segno come, quando, in che modo (il solito: male in arnese) il basco si è allontanato; sento empaticamente che non c'è nulla di strano, si tratta solo di aspettare.

Ne approfitto per fare due chiacchiere: il tipo si ammorbidisce come burro rancido a contatto col miele. Sa fare il suo lavoro, nota tutto, mi dice pochissimo degli altri inquilini, mi riversa tutto sull’uomo dei cani.

Dosando bene la comprensione per i suoi problemi con gli inquilini canini e la simpatia per quei bravi bestioni mi faccio un fido guardiano sull'entrata della pensione, se nota qualcosa mi avvisasse. Poi ho un lampo di genio:

"Nei giorni scorsi Manuel ha ricevuto visite?" - il basco non ricorda nulla, forse gli è stato rimossa proprio la memoria di essere stato attaccato qui.

"No, nessuno. Ha fatto qualche telefonata, basta”: non lo hanno preso qui.

Dalla finestra sul cortile sale un rumore di collari sbatacchiati, dalle scale il basco tutto tranquillo come un figlio di puttana - il lavaggio del cervello rasserena, a quanto pare. Ha pure una nuova giacca leggera non troppo lisa:

"Ederki, vero? Il cappotto comincia a darvi fastidio, qui a sud. Sono a sud rispetto alle mie zone abituali, vero?"

Cerca davvero la conferma da Alain, sguazza nel vuoto cosmico della memoria come una cometa uscita dall'orbita abituata; ci si abitua a tutto.

- ecche probbblema c'è?-

Il giornalista redivivo lo guarda di sottecchi, con una bella smorfia carica di vaffanculo dove cazzo sei stato ti stacco la testa io così risparmiamo la fatica a quelli che tihannoripulitolamemoriastro...

"Sono stato a fare la colazione. Alla Caritas. Lo stomaco ha una memoria tutta sua: alle sei mi sono svegliato con desiderio di quei bei pezzi di pane da pucciare nel caffellatte. Ci sono andato. La strada me la diceva l'appetito. Poi lì ho incontrato gli operatori, mi hanno fatto un sacco di feste; li ho tranquillizzati."

Fa una faccia d'intesa, Alain lo perdona con la condizionale quando capisce che il fiume del Pathos ha lasciato un corso carsico nell'anima del basco:

"E gli ho chiesto di Pilar. Mi son detto: io non ricordosega ma se l'ho conosciuta può essere solo qui."

"Andiamo a farci un goccetto e parliamo con calma."

Scendiamo dopo aver salutato... salutato...

"Come si chiama il povtieve della pensione? È anche il pvopvietavio?"

"Sì, e lo sai come si chiama? Volturnio! Il nome glielo hanno dati i genitori, i fondatori della pensione."

"Che cazzo, è peggio di 'Ippazio', conoscevo un Ippazio, pvima... che bevi?"

"Offri tu..."

Un caffè e un uischi, due cappuccini e cornetti.

"Pilar è una spagnola, fa la donna delle pulizie a Repubblica. Non credo che ci siano problemi, posso andare da solo."

"Guavdami negli occhi, se ti sfugge il sonovo: S-C-O-V-D-A-T-E-L-O."

“Oocchei occhei... chissà come ha trovato il recapito... che poi, io dico: ma allora com'è che non mi ha trovato direttamente a me?”

Alain, alzando gli occhi al cielo:

"Pevchè nessuno segue la via dvitta pev vaggiungeve la meta. Comunque, anche se è una appaventemente innocua, savò il tuo angelo custode!"

“A me comunque – riprende Vinicio – ‘stà storia che mi stai sempre appresso non la capisco... avrò pure avuto una vita privata, no? erVaVamo amanti?"

Da di gomito al francese. Chissà perché al mattino all'alba i francesi non hanno mai il senso dell'umorismo, o almeno non abbastanza: il volto di Alain si contrae come un bicipite le labbra si serrano che paiono un pugno.

"BVutto coglione testadicazzosvuotata, come cvedi che ci sei finit...."

Non solo le labbra sembrano un pugno.

La mano di Vinicio si alza a parare un diretto, nemmeno tanto soft, che stava partendo in direzione della sua faccia:

"hey heyhey..HEY! SCHERZAVO1”

Il sorriso sdentato del Basco fa a gara con l'espressione ebete del Francese (pare una barzelletta, ci manca solo l'italiano) quando si accorge di essere caduto nello sgambetto.

"Sissì vabbè peVò non hai capito, testadicazzo, che c'è poco da schevzave? Le nostve vite sono appese a un filo più sottile di una vagnatela, e ci sono almeno tve Pavche col fovbicione, pvonte a tagliave. Se vogliamo appvopviavci di questa vita e vicostvuive la nostva identità, dobbiamo collabovave, come fvatelli, come evavamo una volta! Basta CAZZATE, ok?"

sussurra Alain, accendendosi una sigaretta

"Allora dovrai aspettare con me l'appuntamento, f-u-r-b-o-n-e."

E così facciamo.

 

Durante la conversazione, ogni tanto Vinicio fa delle espressioni strane come se gli avessero cancellato pure i file di registro della faccia: ogni tanto dei refusi si accaniscono in tic, soprattutto l'occhio destro comincia a balbettare in tutte le direzioni mentre l'altro si accanisce in un solo punto senza più spostarsi. Insiste per andare a piedi all'appuntamento, ha una specie di rigetto per il metrò e vorrebbe portarsi pure i cani, che non se la sente di lasciarli a casa. Non vedendo Alain troppo convinto, prima lo insacca un po' dicendo che se non ha la patente non è colpa sua e poi propone di prendere un taxi e scappare a destinazione senza pagare. Era meglio quando non aveva il senso dell'umorismo.

 

Alle nove sono ancora nella stazione a rinnovare i fasti del film muto. Senza una parola vanno alle cassette postali e Vinicio, dopo un lungo autofrugamento motivato dalla giacca nuova riesce a rintracciare la chiave speciale. Con tre scatti nell'attesa circospetta di Alain la cavità nera mostra i cadaveri di due buste, una formato A4, l'altra di cartoncino giallo, quelle da foto. Vuote.

Gli occhi di Alain si stringono come le labbra ma non dice nulla. La faccia di Vinicio è l'innocenza di un sefardita accusato di furto di salami:

"E che c'entro io?"

Qualcuno gli ha dato qualche cosa, che lui ha perso da qualche parte in un momento del passato non specificato.

“Io non ricordo nulla, magari era roba inutile.” Spallucce.

Lo sportelletto viene sbattuto con una certa quale stizza. Escono senza parlare.

 

Andiamo subito dalla Venturi.

Il ghiaccio apparso alla casella postale va tritato per forza durante la gita in macchina verso via Bertoloni.

 

Il rombo del motore accompagna il ritmo dei nostri pensieri mentre, sotto un cielo appena velato di nubi, ci dirigiamo sul luogo dell'appuntamento. Le rondini volteggiano leggiadre sopra di noi, eseguendo voli aggraziati che sembrano inneggiare all'arrivo della primavera.

I colori della città che vediamo scorrere al di fuori del comodo abitacolo della macchina, fanno pensare alla tavolozza di un pittore pronto a dare vita alle sue più recondite fantasie, mentre gli alberi rigogliosi che costeggiano le vie di Roma nord ci ricordano il risveglio della natura. Ecco, viene da pensare all'inclito viandante, la marmotta ancora assonnata mette il muso fuori della sua tana. Ecco, la cinciallegra svolazza... Lontano una vecchia pendola batte l’ora.

 

"Scusa, Vinicio, se a volte pevdo la pazienza. Ma con te ci vuole un santo pev non uscive dai ganghevi! Svegliati bene, amico! Fai funzionave il tuo cev-vellino di mevda! Da adesso in poi non ci sono concessi evvovi. Vicovdati che chiunque incontviamo è un nemico fino a che non dimostva coi fatti di non essevlo.

Ova ci aspetta l'incontvo con la Ventu-v-i. Questa volta ci DEVE dave spiegazioni senza veticenze, altrimenti non favemo più niente per il suo pvofessov OOOO.

E intanto che andiamo, vifletti su questa pavola: LIMITE INVEVSO."

 

Alain parcheggia in un posto che conosce lui, verso viale Parioli, rampando la macchina su un passo carrabile in disuso. Non sa spiegarsi come conoscesse quel posticino così bene, ma gli è venuto spontaneo dirigersi lì. Come tante altre cose, ricordi, sentimenti, gesti, desideri, che non appartenevano a quello che Lazar ricorda della sua vita, ma che sempre più sente come suoi. Alain/Lazar comincia ad avvertire una punta di preoccupazione:

- Che la memoria del corpo stia prendendo il sopravvento sulla memoria dello spirito? -

Al ricevimento della clinica c'è una suora pallida, Vinicio si incassa nella giacca quando quella chiede:

"Il signore è qui per un ricovero o per degli esami?"

"Abbiamo un appuntamento con la dottovessa Tiziana Ventuvi."

"Un momento, per cortesia."

"Vicovdati” - mormora Alain a Vinicio, mentre aspettano le indicazioni della suora – “siamo qui pev aveve delle visposte. Lovo hanno bisogno di noi. E non possono pevmettevsi più di tvattavci come pezze da piedi. Quindi:

punto pvimo - chi sono LOVO e cosa ci hanno fatto, pevché pvopvio noi due?

punto secondo - chi sono i nemici, pevché ce l'hanno col pvofessov Ognibene, cosa vogliono da lui?

punto tevzo - cosa si aspettano da noi? Se dobbiamo pvoteggeve il pvofessove, non ci devono esseve segreti su tutta la stovia e sev-ve la massima collabovazione.

punto quavto - che tipo di futuvo ci aspetta, una volta sistemata la faccenda 'salvezza di Ognibene'?

Mi vaccomando (!), Vinicio. Dobbiamo mostvavci visoluti e fevmi nelle nostve pvetese. Non ti fav intimovive da quella stvonza occhi-di ghiaccio."

E ora aspettiamo che la suora ci faccia passare.

All'improvviso Alain alza gli occhi al soffitto e tira una bestemmia. Si è ricordato che stasera ha anche l'appuntamento col parroco sulla Casilina!

 

- ECCHEPPALLEEE!!! Detesto restare ore e ore in sala d'attesa, - penso quando un'infermiera filippina ci fa accomodare in una minuscola, invece che, come pronti, nell'ufficio della misteriosa dottoressa T-V. T-Vex.

Il mio altro si siede con uno sbuffo che denuncia gli stessi miei pensieri. Lo squadro un momento, i piedi. Siamo qui assieme, sapendo solo che siamo naufraghi del Pathos, mojados dell'Oceano dei sentimenti. Un luogo, una città, una rete di cose da fare e persone da vedere - anche nella saletta d'attesa della clinica anonima a via Bertoloni c'è un pezzetto di vita da sciogliere, deve essere sotto il tavolinetto.

Invece mi sono sbagliato, la filippina torna quasi subito, neanche il tempo di accendersi una sigaretta o cercare di ricordare il nome dei cani: "Accomodatevi, prego."

L'ufficio della Venturi è in una delle porte che dava sulla saletta, senza cartellino, pensavo meglio. Pieno di luce, pulito, una finestra a tutta altezza con veneziana guarda sui Parioli, ma deve essere stato ricavato uno sgabuzzino accanto, mangiando due terzi della stanza da progetto, è rimasta tutta la finestra, uno spazio largo mezzo metro per passarci davanti e lo spazio vitale per una scrivania e due poltrone a distanza di due braccia: va bene per gli incontri - chi è seduto non arriva a toccare il tavolo senza alzarsi - tuttavia è completamente assente lo spazio per la pianta di ficus o per l'acquario coi dipendenti dentro.

Ci sediamo. Comodi. L'altro fa per mettere i piedi sulla scrivania.

"Li metta giù."

Obbedisco per educazione, gliene metterei uno nel fondoschiena per il tono della voce. Calma, siamo qui per svolgere la matassina; poi dopo magari ce la impicchiamo .

"E così siete venuti entrambi. Avevo chiamato il dottor Meltemi proprio per segnalare la scomparsa del nostro amico raro all'acqua. Ma vedo che è riapparso, e ha una maggiore familiarità con i detergenti. Bella giacca."

Vinicio fa la mossa che ci aspettiamo, il gomitolino è già sulla scrivania:

"E quando avremmo dovuto sentirci? Licenzierò il mio segretario."

"Doveva chiamarmi l'altro ieri sera, come le avevo chiesto. Volevo dettagli sulla salute del professor Olimpo Ognuno. Lei è l'ultimo ad averlo visto."

Prima che Manuel sbotti rigurgitando punti interrogativi:

"Dobbiamo chiavive meglio il nostro vappovto, d-o-t-t-o-v-e-s-s-a."

Ci sono molte cose che non vanno. Infossato nella poltroncina troppo morbida parlo senza muovere un membro, da dietro gli occhi chiusi; i miei sensi friggono come la coca-cola di lattina: questo è l'antro della dottoressa, non potremmo nuocerle anche volendolo con tutte le forze, deve essere la scrivania nera e questi muri bianchi, la luce a lame obbediente alla veneziana. Pure lei. E lei si prepara a parlare, appoggia un gomito al massello e parla senza guardarci:

"Siete venuti a chiedere dettagli, eppure sapete già tutto e anche di più ."

"Lei ci deve delle spiegazioni più dettagliate. Dobbiamo sapeve di più sui VVischi che minacciano il suo pvofessove ."

"Il professore non è solo mio, cari signori, ma pure vostro; se volete chiarirvi le idee dovrete fare luce in tutti gli angoli dei vostri cervelli attufati."

Attufati. Si sta già arrabbiando .

"Io non so cosa vi lega al professore, certo è che lui ha proposto e finanziato l'intervento del gruppo di rianimatori che a Torino ha riportato in questa valle di lacrime uno dei presenti."

Vinicio si allunga nella poltrona con la faccia 'sai che affare' e il dito della dottoressa gli inchioda i pensieri:

"Non so cosa le passa per la testa, come dice Michi Rurc: parlare con lei è come applaudire con una mano sola, è un fatto che se lei si ubriaca ancora in questa città soleggiata e stasera potrà mangiarsi una pizza è grazie a me, al professore, e un altro fatto - e gliel'ho già detto una settimana fa a via Cicerone, quando mi ha simpaticamente bloccato - è che non ho ancora sentito la parolina di sei lettere che comincia con 'gra' e finisce con 'zie' -" è un torrente di incazzatura, quando vuole, forse ha pure vagamente ragione - "voi due avete un debito, un legame col Professor Orazio Olindo Olimpo Ognuno. Questo è poco ma è sicuro. Io lo conosco bene. Lui agisce così. Accettatelo e collaborate."

Un grande colpo di teatro, meglio di Di Pietro in requisitoria. O forse è sincera quando cambia faccia, qualche pensiero ha inseguito quelli che volavano cacciati dalla sua rabbia. Un pensiero profondo e triste .

"Fate come tutti, siamo tutti legati da riconoscenza e debito. Siamo legati. E chi è legato si identifica per i suoi legami."

Queste parole ci suonano familiari .

"Se provaste a rinnegarli vi sciogliereste da voi stessi e volereste verso il Grande Nulla."

La faccia di Vinicio è fatta dei punti interrogativi che non ha vomitato, sembra l'arcimboldo dal titolo: 'la domanda a riguardo del che diamine dici' .

"Grande Nulla, Piccolo Nulla. Sono parole del professore." - la Venturi è più calmina, ha un carattere forte e mutevole o è una grande attrice prestata alla Medicina - "le scrisse in un libro che stampò durante la guerra, a Dresda. Non è neanche nei cataloghi, la città fu distrutta due giorni dopo da un bombardamento. Si intitolava: Epistemologia del Piccolo Nulla. Non mi chiedete che voglia dire, ne ho letto delle pagine quando ero ragazza. Lo aveva fatto stampare con dei fondi della collaborazione culturale tra Terzo Reich e Repubblica Sociale. Non fate quelle facce, i ciceroni democratici di questa repubblica hanno bevuto allo stesso trogolo ."

 

Alain si alza a sua volta, ma solo per prendere per un braccio Manuel e invitarlo a sedersi di nuovo. Guarda con aria leggermente disgustata il foglio stropicciato con le domande.

Si siede di nuovo, cerca una sigaretta, mormorando quasi fra se "Distuvbo se fumo?"

Poi attacca il suo sermone:

"Ok, cevchiamo di calmavci tutti quanti. Mi pave evidente che dobbiamo tvovave un modo per collabovave civilmente. Ci sono già altri pev favci la guevva.

Se ho ben capito, c'è un pvoblema. Il pvof. Ognuno è scompavso, dato che la signova ci dice che Manuel è stato l'ultimo a vedevlo. E allova, signova Ventuvi, non le sembva il caso di spiegavci con quali nemici abbiamo a che fave? Se dobbiamo agive, se è vevo che siamo tutti legati, è inutile e dannoso continuave con i mistevi. Penso che, dopo che ci av-và gentilmente illuminato, dov-vemo andave a casa del pvofessove e cominciave le indagini da lì. Dobbiamo anche capive cosa è successo a Manuel e al suo cane. Pvobabilmente gli episodi non sono indipendenti. E poi c'è quell'avmadio ambulante che eva compavso sul metvò, che ova è ricovevato al Pevtini. Insomma, abbiamo un sacco da fave. Non ci faccia pevdeve tempo in convenevoli."

 

Vinicio è mansueto e seduto. Non ha cambiato l'espressione tranquilla che aveva prima e fissa la Venturi in cerca di risposte. Sul tavolo fra gli scarabocchi del foglio il nome di Quintilio ha un'aureola di caffè che parla da sé.
Abituata a pazienti che descrivono una colica coi toni dell'Amleto, la dottoressa plurispecializzata sembra averci lasciato sfogare e essersi rassegnata al prolungamento dell'incontro. Nei nostri termini. Alain si risiede con un'occhiata di assenso per il Basco che ha trovato una puntina sotto la scarpa da ginnastica.

"Cominciamo con il chiarire che non mi capaciterò - mai - dei motivi che possono aver convinto il professore ad assegnare la sua protezione a voi due. Certo lui guarda nella gente da un'esperienza di anni e non si sbaglia, dovete avere risorse ben nascoste; molto ben nascoste..."

Pausa per organizzare le idee.

"Primo: il professore non è scomparso. Resta nascosto nella metropolitana. È più al sicuro lì, fintanto che non viene scoperto - vi chiederete come fa a restarci: non sono problemi pertinenti alla sua protezione - è bastato portargli i viveri speciali: con quelli può sopravvivere senza problemi."

“Nella spovtina di plastica c’era da mangiave…”

Nella memoria vuota sfreccia la sensazione di aver assaggiato una schifezza, ma l’unica cosa che sembra tornare a memoria è bagascia marocchina nella settimana rossa.

"Vedo dalla lista delle domande... che avete avuto nonsocheproblema coi vostri cani: se non lo sa lei io non so aiutarla. Spiegatemi cosa è successo."

"Guarda non è che io lo so: cioè prima stavo male e adesso no però guarisco presto e questo non è normale se nemmeno i cani lo sono. Però. Però... come dire: io mi sovvengo che ero in treno di fare qualcosa, io venivo di parlare con ... non lo so. È che Alain mi trova a casa e s'incazza - si gira, scusa la parolaccia- e mi dice dobbiamo parlare al Coccodr.. ehm cioè no, a Mamma Odi.. - DOH!!- insomma, qualcosa non va io amnesisco e il cane è l'unica traccia."

Dopo tre minuti di confusione franco-spagnola Alain riassume schematicamente per la sanità mentale di tutti.

"Non so cosa stia succedendo; il vostro lavoro - e scusate se ve lo faccio scoprire - è risalire a chi minaccia il professore e renderlo innocuo. Non so chi siano, di codesto Quintilio non ho mai sentito parlare prima. E credo anche che vi stiate confondendo sul coinvolgimento di Zoe e Attilia. Zoe e Attilia Fabbri non hanno nulla a che fare con la minaccia al professor Olimpo Ognuno: erano mie amiche quando facevo l'università - una faceva lettere e l'altra biologia. Ci siamo sentite di rado, Attilia gestisce palestre nel Nord, Zoe non so. Vi state sbagliando; avrete visto qualcuno che gli somiglia."

Vinicio si allunga una manica con la stizza del sapere che uno dei suoi pochi ricordi, e l'unico con una carica sessuale ad alto numero di ottani, si allontana nella nebbia delle allucinazioni indistinte. Alain la descrive, non ce la siamo inventata, voleva ridurci in lattine schiacciate. L'ultimo indirizzo delle sorelline, l'una o l'altra per me pari son? Sfrusciamento del foglio domande:

"Voi volete veramente provare i limiti della mia pazienza: non so dove trovare Zoe e Attilia.

Leggo poi una domanda sul dove sono stata negli ultimi giorni: io sono andata in Svizzera per preparare un convegno, se leggeste il mio curriculum sapreste che è abbastanza normale. Sono un medico: dunque vado ai convegni - e non per sciare! Sono un buon medico, credo, specializzata in anestesia e rianimazione. Come la clinica. E mi trovo a trattare con la feccia che difende la persona con cui ho un debito enorme, l'unico della mia vita. Mi sono fatta strada da sola, signori, partendo da niente. Ci sono un sacco di cose che non sapete di me - per il vostro lavoro non serve che le sappiate. Siete due tipi strani, e non mi fido di voi. E dovreste capirlo. Il dottor Meltemi ha ragione. Dobbiamo darci da fare rapidamente. Ma io sono un medico. Posso fornirvi delle risorse finanziarie... soldi... se è quello a cui puntate..."

Questa allusione al ricatto la ingoiamo come un rospicino, magari a Vinicio può anche piacere, Alain comincia ad essere visibilmente seccato, anche se cerca di mantenere un modo di fare estremamente educato:

"Mia cava Signova, lei savà anche un bvavo medico, ma non oso immaginave come deve esseve nei rappovti UMANI con i suoi pazienti. Definive apevtamente feccia le pevsone con cui dov-vebbe collabovave pev il raggiungimento di uno scopo comune non mi sembva indice di sensibiltà umana, ne' di educazione, e tantomeno di intelligenza sociale. Ma il tempo stvinge e non siamo qui pev piacevci. Quindi passiamo sopva alle sue offese. E quanto ai suoi soldi, le chiedevemo solo quello che può sev-vive a copvive eventuali spese. Sappia comunque, almeno pev quello che mi visulta pevsonalmente, che non abbiamo chiesto noi questo vitovno in vita. Se il pvofessove ha voluto fave questo 'mivacolo' su di noi, è stata solo una sua scelta ed av-và avuto il suo tovnaconto.

A dive la vevità, non so nemmeno se mi sento gvato nei suoi confvonti. Adesso savà meglio muovevci. Abbiamo un appuntamento alle 12, che fovse ci potvà fovnive qualche utile infovmazione. E poi cevchevemo qualche altva tvaccia. Pensi bene se non ha pvopvio niente di più pev 'illuminavci'."

 

"Si tratta proprio di illuminazione, e non è certo un risultato. Siete su una scala di valori che non sono tenuta a condividere: il servizio che dovete compiere non ha nessuna certezza di legalità o moralità. Il debito della - diciamo - vita verso il professore vi lega peggio di una catena più dura della vostra poca riconoscenza. Non c'è niente di più schifoso della morte, a parte quella di un innocente. Lasciamo perdere...

Per il resto non ho molto da darvi, è la vostra parte. Al massimo -" i suoi occhi vanno sarcastici su Manuel - "posso riportarvi in vita se cadete in coma...

I nomi dei nemici del professore non li conosco, ma quando lui me ne ha parlato, e da quel momento non l'ho più potuto incontrare, voi siete i miei strumenti, mi ha detto che chi lo minaccia vuole sopprimerlo, e poi passerà i guai chi lo conosceva. È un'organizzazione spietata, se lo dice lui potete crederci: io non ho paura - vi ricordo questo punto per farvi capire che dopo di lui tocca a noi, voi compresi. Io non faccio misteri, il professore mi ha sempre tenuto allo scuro: è fatto così. Non mi ha mai fatto mancare nulla, a parte la chiarezza sulla sua vita professionale. Avevo convocato il dottor Meltemi perché il SIGNOR Fernandez sembrava in difficoltà a dare dei risultati. È vero: è meglio che non vi faccia 'pevdeve tempo'. Altre domande o posso tornare ai miei pazienti?”

Acqua su acqua per le domande sul foglio, inutile insistere.

“Un'ultima cosa: lasciate perdere mia madre: è una cara donna vissuta sempre all'ombra dell'uomo che ci ha protette, dentro quella casa. Molte delle cose che dice non sono importanti o reali. Non vi può essere d'aiuto e comunque domattina la mando da amici per essere esposta il meno possibile alle conseguenze di..."

Altra occhiata, doppia, mentre si alza:

"...un vostro fallimento."

Alain la precede veloce alla porta, facendo segno a Vinicio di seguirlo. Prima di uscire si rivolge con un educato freddo accenno di inchino alla Venturi, biascicando un:

"Avvivedevci, Signova, ci è stata molto utile. Le favemo sapeve."

Il basco lo segue senza fare storie, senza fiatare. Guarda solo una volta negli occhi la Venturi, un cocher abbandonato in autostrada farebbe meno pena. Nel suo saluto si legge un "perché devi fare così? perché rovini sempre tutto?".

È rammarico, non accusa. Ma Mamma Odio non accuserebbe nemmeno uno scud.

 

Una volta fuori dalla clinica mi accendo due sigarette contemporaneamente, tirando bestemmie alla gentile signora bravo medico, inserendo tra l'altro un "tutti davanti a me devono capitave!"

Dopo una breve sosta al bar, dove offro da bere a Vinicio e mi scolo un paio di "aperitivi", ripasso il programma per il prossimissimo futuro: prima tappa, stazione Termini, giretto per trovare eventuali testimonianze su quanto è accaduto.

 

Mentre ci dirigiamo in loculo, Vinicio è pensoso, forse il cervello sta ricominciando a funzionare:

"A parte questo... che era quella storia del volantino e di samurai Cristo? Quando dovremmo andarci? E soprattutto, come l'hai recuperato? Sai, di andare a sentire le ciance di un servo della presenza non mi fa molta voglia..."

"Niente, una cazzata di volantino che mi ha dato un tuo simile al semafovo. Pev ova non ho trovato altve indicazioni, non cvedo che andvemo a sentive le ciance, anche se la cosa mi incuviosisce."

Stacchiamo la macchina dal posto con un po' di nervoso, sarà che siamo in ritardo o l'immancabile simpatia degli incontri con Mamma Odio? Se disprezza noi e il lavoro per il prof, perché lo fa?

In macchina buttiamo giù pezzi di frasi, la testa ci vortica di domande - qualcosa non quadra - me lo dice il senso empatico.

- Qualcosa non quadra, mi ci gioco la testa di Pantarkos!-

Non abbiamo il tempo di passare a fare domande per sapere se qualcuno ha visto uscire Vinicio il giorno del reset; qualcuno ci deve essere. Speriamo di non investirlo con la rover quando schizziamo fuori dai sottopassaggi per Castro Pretorio alle 12 e dieci. Se non volevamo dare nell'occhio ci siamo riusciti: chi noterebbe una rover bianca che brucia un rosso e sbatte Vinicio sul marciapiedi?

 

Attraverso verso il centro della piazza al massimo della tranquillità, come uno che va in ritardo ad un appuntamento con una persona che conosce per nulla. Il dubbio che potrebbe essere un'altra bella trappola ormai si è bruciato nel fornelletto delle meningi. Tardi. Incrocio gli occhi della donna bruna mentre Alain sta ancora facendo il giro, cercando di non fare un botto, di tirare fuori la pistola dal cassettino senza bruciarsi con la sigaretta in una pioggia di cassette dal cruscotto.

Gli occhi di una persona amica sono il segno di pace più bello:

"Ciao, muchacho. Pensavo ti fossi dimenticato, en el chentro diceban que.."

"Todo bien, muchacha, no te procupe," faccio lo sciolto mentre eseguo il ripasso di Pilar. Una voce mi ripete che devo averla conosciuta alla mensa Caritas; le do un bacetto sulla guancia, non so se se l'aspetta o si offende ma così faccio un cenno a Alain di sfilare tranquillo e andarsi a cercare una multa da un'altra parte. La voce di Pilar, i suoi occhi neri di amica sconosciuta, mi compensano per le occhiate al vetriolo del coccodrillo marino dietro la scrivania. Mi dice che ha quel che le avevo chiesto, la mia interpretazione del 'molto grato' è quasi sincera. Falsa cioè, ma ci provo davvero.

Ci prendiamo un caffè. Una colombiana tranquilla che manda i soldi alla famiglia e risparmia su tutto. Lavora a 'Repubblica', vive in una stanzetta con tre connazionali. Lavorano e fanno una vita di merda, per risparmiare accettano i pasti della Caritas, conoscono i barboni alcolizzati come me. Poveri di tutto tranne che di dignità. Gli abiti sono quelli con cui lavora, i capelli con qualche filo grigio neri lunghi belli.

Avrà quarant'anni, chiacchieriamo in spagnolo e per un secondo mi viene voglia di restare qui tutta la vita; giusto il tempo perché si formi nella zona talamica il seme dell'immagine di Alain che bestemmia e fuma a tre a tre da qualche parte in questo universo da cui vorrei avere un momento di serenità. Grazie della vita, ma si potrebbe avere anche un pochino di quiete, professore?

Pilar ha mantenuto la sua promessa, non le costa nulla, quel giornalista sgobbone all'archivio è suo amico, lo sai come lo sfruttano? Praticamente praticantato a gratis. Uh mi parte l'auto, ci vediamo domani ecco le tue carte

Una busta della "Repubblica", mi bacia sulla guancia e non guardo i lunghi capelli neri sul grembiule blu scuro che escono. I mie occhi sono persi tra le agenzie e le stampe sbagliate da internet, gli appunti sui postit, questo tipo deve mangiare pane e ricerche tutto il giorno:

“Zoe Fabbri. Nulla.”

“Attilia Fabbri. Una palestra a Trento, indirizzo a casella postale. Partecipazione a un corso di sopravvivenza a Iano, Pistoia. Indirizzo e telefono.”

Piombo nella Rover come starschi e asc tutt'insieme.

"Dove tvoia evi? Siamo in vitavdo!"

 

Il secondo punto del programma della giornata prevedeva la visita a Quintilio. Quindi, se non ci sono impedimenti ci dirigiamo al Pertini.

Impedimenti ne fa Manuel, fa delle storie: non gli è stato spiegato che Quintilio era intenzionato a interpretare con lui un incrocio tra il film muto e le pellicole splatter?

Non vuole rivederlo da vicino.

Alain insiste perché lo accompagni e gli "guardi le spalle", mentre lui prova a parlarci.

Si argomenta che dovrebbe stare in un ospedale nel ruolo di paziente ferito.

Il barbone basco si convince più in fretta di quanto credesse il giornalista redivivo:

- Non pensavo che sarebbe venuto senza cercare di buttarsi giù dalla macchina, forse il suo ingrediente empatico sta prendendo il sopravvento. Non lo riconosco, sicuro è uno di noi. È un qualche tipo di Alterazione, questo è certo; mi domando solo quale Nota avrà voluto come figlio un tipo così... 'scalercio'. Adesso è un po' più tranquillo; non ricorda un cavolo ma apprezzo lo scambio. -

 

Alla accettazione del Pertini chiedo in quale stanza è ricoverato:

"il mio amico signov Quintilio Lucchi."

Per non essere messo in autoclave a prima vista, Manuel si è dato una rassettata tipo 'di Caprio in Titanic'; mi segue nell'ospedale a pochi metri. Perfetto.

L'infermiera mi da la stanza senza neanche guardarmi, io mi avvio, un'occhiata sovradosso alla mia scorta dalle mani in tasca nella giacchetta 'nuova'.

Il linoleum riflette il sole che volteggia sull'entrata principale, io seguo preciso il nostro segugio ad alto tasso alcolemico: io e lui passiamo inosservati.

 

Alain sembra a suo agio a far finta di sapere già la strada mentre con un occhio spia le camere e incontri imprevisti. Si ferma a un angolo del piano giusto, poi tira dritto senza voltare e si ferma davanti a un bagno. Quando lo seguo butto un occhio verso l'obbiettivo e davanti alla stanza che cerchiamo: incontro imprevisto.

C'è poco meno che una mandria di gorilla, un'adunata di culturisti. 'Sembrano un esercito di idioti'. Facciamo un po' d'acqua. Soli:

"Cvisto di DDio, c'è un sacco di gente, e tutti gvossi..."

"Scendiamo al bar e aspettiamo che se ne vadano?"

Alain sogghigna sgrullandosi la belva: l'idea non è malvagia e gli piace che abbiamo le stesse mappe mentali - mappe lastricate di etichette con la gradazione!

"Il doveve ci chiama. E ha una voce che viconosco. Vado a vedeve se possiamo capive chi veglia sul nostvo uomo. Aspettami qui fuovi."

Il basco si siede davanti al laboratorio diabetico fuori orario e aspetta poco:

"Non si tvatta di guavdaspalle. È la famiglia, padvi, zii e mamme di Quintilio. Deve esseve messo male. Hanno facce da funevale! Non sembva che facciano caso a niente. Vai a fave qualche domanda."

"Io?"

"Tu, tu."

"Sì, vabbé. Ma non ti dovevo fare solo da spalla? Eppoi... che gli chiedo? A chi lo chiedo? Se sanno dirmi chi sono io stesso? Sei sicuro che non siano antropofagi?"

"Sì, ho passato vavi pomeviggi in ossev-vazione alla casa di Quintilio e non ho trovato femori nella spazzatura."

"Quindi chi è quest'uomo? Che gli dico a quei bovi lì vicino? quelli mi accartocciano..."

"...come una lattina... sì sì, questa la Vacconti da quando ti conosco; ova sbvigati."

"Mah...."

"Questa seva ho appuntamento col pavvoco della pavvocchia in cui Quintilio canta. Appena av-vò un minuto di tempo ti vaccontevò, ma staseva possiamo andave insieme, se sev-ve ancova."

"Sissì vabbè tizuvbhsaucio!" sbotta in basco Vinicio.

Vinicio esce con la faccia da purga. Poi si riprende e si avvia nel corridoio verso la mandria di bufali pontini bipedi.

 

Al primo bicipite più grosso della sua testa si ferma: sta appena fuori la porta, il basco si tiene di proposito oltre il campo visivo.

Da qualche parte un vago ricordo del concetto di "cecchino con fattore di copertura 5" emerge. Si rincuora: prende fiato e spera di ritrovare assieme a questo scampolo una qualche sensazione triste per ispirarsi e fare la faccia da lutto. Nulla , vuoto pneumatico.

- Vabbè faccio da solo.-

Occhio languido lingua tremula mano triste il nostro amico cocker mette un ditino nel tricipite del bove:

"Come sta?"

L'omone col tricipite a forma di testa non è pericoloso e così gli altri della mandria che intasa l'ingresso alla stanza: è rassicurante, almeno il torello dal letto non mi potrebbe vedere nemmeno volendo.

Mi rilasso, da qualche parte so che non è vero che i tori s'incazzano solo col rosso ma non ho nessuna voglia di fare la prova del 9.

Il signor testa-tricipite ha la stessa intelligenza di un muscolo: sarà che il cervello è 'come’ un muscolo e va tenuto allenato ma a me mi pare che pure le cozze sono muscoli e sono più furbe.

Qualche convenevole, il signor testa tricipite si lamenta, “… da quando è uscito quel film che non ho visto sa non ho tempo fra la palestra e il coro e tutto il resto, insomma sa, si chiama come la mia officina, ma però ci torturano la gente e allora i clienti non apprezzano ma tu vai a sapere da dove gli viene il nome del film... mia madre dice che non è così, mi scrivono fascista sulla serranda ma intanto io il mio mestiere lo faccio e non lo vado a rubare all'estero..." e bla bla bla, qualche info sugli altri, tutti più o meno parenti, ‘sto qua c'ha un clan che altro che mandria... spero non ragionino tutti col tricipite se no qui mi schiacciano come una lattina. Tutti romanacci di borgata, meccanici. Grossi, cresciuti a bucatini e pajata. Tutti tipo Aldo Fabrizi e la Sora Lella, a diverse età. Sono affranti.

Ci vuole un buon venti minuti per arrivare alle informazioni che mi interessano, prima devo affrontare i chili di manzo che mi separano da Quinty, non solo fisicamente: 'sti pecoroni prima che capiscono le domande bisogna bypassare i muscoli che gli ingoffiscono pure i pensieri.

Mi stufo e cambio gigante. Questo è il fratello, sembra Rambo ma più tonto, quando gli faccio due domandine due si commuove e diventa paonazzo, suda, il suo sudore puzza di tonno hard-discount fritto nel suo olio... bla bla.. maccomesifa ad ascoltarlo, il suo sudore puzza di piscio di gatto... bla bla.. macchette’ frigni? il suo sudore sa di anabolizzanti.... bla bla.

BLA.

Alla fine la spunto (“Sa: la prognosi sarebbe riservata...)

Il quadro clinico di Quintilio è il seguente: un brutto morso da un grosso cane

- SI! TIENI BASTARDO!-

al braccio e totale inebetimento.

Quintilio non parla, non riconosce nessuno.

Vuoto totale. Ennyi van.

Delete C:/*.*. FDISK.

Konyec filma. Finito.

Trattengo a stento il sorriso quando mi rendo conto che almeno non è solo la mia bestiolina ad aver sofferto ma soprattutto il terminator non mi può riconoscere, che in confronto io sono un pozzo di scienza... o si dice con la "I"?....

Poi fingo pure commozione, quando mi accorgo di non essere credibile evito lo sguardo e incrocio con gli occhi mentre una donna che esce piangiucchiando dalla stanza. Vedo bene una massa immobile adesso sotto il lenzuolo, di un'immobilità penosa. Dovrei essere ingiustamente felice, invece sono beatamente indifferente, forse un po’ mi commuovo pure io, non sono cinico io.

- Meglio, sono più credibile così.-

Il toro da guerra adesso è un agnello sacrificale alla cui vista tutte le nostre info utili evaporano.

Faccio un cenno ad Alain di avvicinarsi:

"Se Quintilio poteva essere una pista, adesso siamo davanti al mare"

Nessuno dei familiari sa nulla, ne’ ci riconosce, sono un gruppo di signori che ha un giovane familiare in coma vigile.

"Quinty è fuovi dalla pavtita."

 

Blocchiamo un cubo gelatinoso, il fratello della tipa in lacrime, sa, beh, i dettagli, che posso dirle, i dettagli del ricovero è che è uscito quel pomeriggio dicendo che aveva da fare... è stato notato per il sangue da passanti che hanno chiamato l'ambulanza... Non ha detto una parola, non reagisce agli stimoli... è stato ritrovato la mattina, seduto sul ciglio di una strada qualunque.

La mamma singhiozza, ha ascoltato tutto il discorso sconclusionato del fratello frignando, - Cazzo ma la consecutio a voi no, eh? - allora mi faccia capire l'ordine: ha detto che usciva è stato assalito e poi i passanti lo hanno soccorso.. mmn beh.. ma nessuno ha visto chi lo ha aggredito.. non è possibile di ‘sti tempi potrebbero perfino puntarti una pistola o provare a sgozzarti in metro che nessuno fa nulla...

Mamma gelatina annuisce, piange, s'infervora, secondo lei c'entra quella stronza della sua ex-ragazza, ma è solo una sensazione da cuore di mamma al bucatino all’amatriciana. Io sono una donna semplice ma su queste cose non mi sbaglio mai, quintì una così nemmeno me la portava a casa perché lo sapeva, ‘sta biondina slavatina, conosciuta a canto in parrocchia. Che per carità andava in parrocchia magari era una brava ragazza ma a me quelle li che si fingono e poi... io, io...

 

Sprofonda la testa nel pancione di frateso e non spiccica più una parola comprensibile.

Lui è più moderato nei confronti di Zoe, cazzo ti credo, se me la ricordo io che sono resettato figurati Lui che al massimo si scopa un travestito al cesso della stazione... sa a dire il vero non sappiamo quasi niente della ex – EX!? nel senso che è lui che non è più o che si sono lasciati? una vena di speranza avvolge questo pensiero - fidanzata di Quintilio, era molto schiva, una gran bella biondina....

È Zoe.

Questo è chiaro. Si sono conosciuti al coro in parrocchia. Andiamo in parrocchia allora.

 

"Non c'è altvo da sapeve qui"

Gli do di gomito, almeno un po’ di rispetto per ‘sti poveracci, mi ridà di gomito, per poco vomito.

-        Meglio, sembro più affranto, sono più credibile:-

“Scusi devo andare, non ce la faccio a vederlo così... devo andare.”

 

 

PATHOS © 2002
Associazione di Letteratura Interattiva