L’Apocalisse non è mai finita

Libera interpretazione e revisione a cura di Daniela Forni e Paola Urbinati

Master: Enrico Croce e Marco MOMM Lombardi
Primi Narratori: Matteo Turinetto, Marco il Tengu, Claudio Black
Arbitri: Yuri Artioli, Piermaria Maraziti, Stefano Raistlin


 

Parte prima: La Villa di Ginevra.

 A sera gli empatici riprendono i pulmini, pieni di pensieri. Percorrono una strada diversa e più breve. Incontrano ancora i motociclisti che scodinzolano loro davanti il sedere di gomma. La mommica scorta si allontana col prevedibile strappo. Brrrrrrrrrrrrrr!!!

Vengono caricati su un capiente pullman di lusso per continuare il viaggio – sempre scortati da motociclisti che non riescono a non fare i cazzoncelli – fanno le pinne, la serpentina. “Speriamo che caschino” – bofonchia qualcuno per tutti. Non cascano. Spariscono.

Per tutta la notte, il pullman corre alla volta di Ginevra. È molto comodo e c'è spazio per tutti. Tualett, cibo, caffè, di cui Daniela Spiranti approfitta senza posa. Ha con sé la sua tazza preferita, addirittura. I passeggeri parlano, meditano e ridono, una pausa dopo la prima tappa di un viaggio dove le distanze non sono fisiche. Il primo macigno di questo rosario delle Emozioni è compiuto, non senza dolore.

Appena uno sbuffo e un lazzo quando l’ennesima moto si accoda: è nuova, lucida, probabilmente puzza ancora del deodorante che c'era all'interno del Salone Ducati.

Ma questa non gioca. I pensieri del motociclista non sono allegri e, del resto, la consapevolezza di vivere gli ultimi giorni sulla terra difficilmente è motivo di felicità, specialmente per chi si è sempre creduto Immortale. Sorridendo dentro al casco, Ragione di Enigma ringrazia il rombo del motore e la musica dei Ramblers che non gli permettono di sentirsi pensare mentre si gode la cavalcata, l'ultima.

 

Il passaggio alla frontiera svizzera è curiosamente veloce. Quasi non si accorgono di giungere a Ginevra. Qualcuno lungo il tragitto ha creduto di vedere Farkas che dipingeva una staccionata.

Il pullman imbocca la statale che costeggia il lago, lasciandosi alle spalle la città.

Un silenzio denso ha sostituito, pian piano, le chiacchiere notturne.

Il verde screziato degli alberi si riflette sui vetri, il disegno chiaro e appena percepibile del volto di Daniela si confonde con il paesaggio: un insetto sui bordi del finestrino annaspa e cerca di risalire. Tra poco vedrà la Villa: si accorge di provare quella sensazione di gratitudine, di sicurezza che si prova nel tornare a casa. Qualcosa che rimane al suo posto. Potrebbe dire quale intervallo di tempo occorrerà al cancello per aprirsi.

 

Luce arancione che cade, ingloba il mondo come una grande gelatina deformante. Tengu nelle ultime ore è rimasto silenzioso, strano: eppure il suo sguardo aveva deciso di posarsi altrove, specchiandosi nel riflesso azzurro del finestrino, saettando tra le sagome degli alberi, scivolando sulla lastra fluida del lago, correndo sull'asfalto. Vivo, ma totalmente succube al moto del pullman.

Rimane immobile per molto tempo. Manichino bianco in posa stilosa, riflesso del sole sull'occhio destro, stivale che punta allo schienale davanti. Dopo un po' alza il capo cercando qualcuno con lo sguardo e, una volta intercettato, torna a seppellirsi nei propri pensieri.

Anche Enkada, seduta sul fondo, guarda fuori.

Come sempre se ne sta in disparte ma adesso si sente meno sola. Vorrebbe parlare con Flavius di Psiche, dirgli che si sente vicina a lui, a loro e alla scelta che hanno fatto. Ma teme di rompere la concentrazione e la solennità del momento. Rigira tra le dita la targhetta con il Giano bifronte. Ha provato a fare gli esercizi, ma il pensiero correva in giro. È troppo capricciosa per cose del genere.

 

Dopo una mezz’ora buona, la macchina che li precedeva svoltò in una strada laterale poco prima che la statale entrasse in una galleria. La strada risaliva il fianco della collina per portarsi nuovamente in direzione del lago. Il pullman si fermò poco dopo aver imboccato una diramazione sulla destra, davanti a un grosso cancello di metallo.

Qualche istante di attesa e il meccanismo elettrico che governava il cancello si attivò. Le auto sfilarono rapide e il cancello si chiuse alle loro spalle. La strada continuava attraverso un enorme parco. Sulla destra, una piccola spiaggia rocciosa si interrompeva in un alto promontorio a picco sul lago. Sulla parete scoscesa si aprivano alcune fenditure simili a grotte, attorno alle quali cresceva fitta la vegetazione. Sulla sinistra invece il pendio saliva gradatamente in una collina sulla cui cima, avvolta da un boschetto di alberi secolari, si scorgeva una grande villa.

Le auto furono parcheggiate nel piccolo piazzale antistante: da vicino, la villa mostrava chiaramente di essere il frutto di restauri e ampliamenti di edifici preesistenti. Ma nel complesso forniva un bel colpo d'occhio. Combattuto, il Nero passò in rassegna rapido la gioia trattenuta dei Destinanti e l’aria ammirata di altri. Non era mai stato al Sacrario di Destino (be’, a dirla tutta non era stato mai in nessun sacrario), ma ne aveva sentito parlare abbastanza: lo immaginava più grande, vuoi l'idea di Ginevra, vuoi i messaggi subliminali di grandiosità che ti sparano nelle agenzie turistiche che vendono il pacchettotuttocompresoParigi-Versailles, vuoi l'attesa... e ora era un po’ deluso: più o meno come un bimbo che scopre che il babbo gli ha regalato una saldatrice per il compleanno.

…Ripensandoci bene però Versailles non gli era mai piaciuta!

 

Alcuni gradini conducevano all'ingresso. Sulla soglia in attesa c'era un uomo anziano, dall'espressione leggermente preoccupata.

Arthur si diresse verso di lui a grandi passi, si strinsero la mano con affetto e scambiarono alcune parole. L'uomo anziano salutò con un cenno i Destinanti e sorrise agli altri, facendo cenno di seguirlo.

Enkada si avviò. Ancora una volta la bellezza del luogo in cui si trovavano la distraeva. L'irlandese stava scortando gli empatici attraverso il pianterreno. Gli interni erano molto lussuosi, segno che in passato la villa aveva goduto di un certo splendore. Attraversato un salone di entrata con uno scalone in marmo, percorsero un corridoio su cui si aprivano alcune porte. Turant ne aprì una ed entrò nel salone antistante.

Diversi tra i presenti trattennero per un istante il respiro. L'esperienza che avevano vissuto in quella sala quasi un anno prima si riaffacciò prepotente alla loro mente. Il ricordo di due cerchi di emphatici, un antico salmodiare, al centro dei cerchi il corpo martoriato di Damien che si solleva nell'aria. La terribile voce del Guardiano. La determinazione dei Figli del Pathos. Il terribile urlo finale di Demogorgon.

L'espressione di Damien divenne di pietra. Per un istante sembrò che il suo corpo non volesse obbedire, poi la volontà del giovane ebbe il sopravvento.

Marco il Tengu chiuse gli occhi. Silenzioso.

Poiché aprire gli occhi lo spaventava, ne cercò l’odore. Accanto a Claudio, le dita gelide cercarono un po' di calore. Non posso prendergli la mano avvicinandosi alla sua mano non lo accetterebbe... e sfiorando altre dita non posso farcela da solo.

 

II salone era molto ampio. Un grosso camino si apriva sulla parete nord, pesanti tendaggi coprivano le finestre poste sulle pareti sud ed est. Il soffitto a cassettoni era impreziosito da un numero notevole di intagli lignei che rappresentavano stelle e costellazioni.

Vicino alle pareti erano stati disposti alcuni tavoli e sedie, un paio di divani dell'Ottocento e alcune librerie. Poco sembrava essere cambiato rispetto a un anno prima, se non fosse stato per il pavimento. Al centro, nelle lastre, erano stati incisi due cerchi intersecanti. In diversi punti comparivano alcuni simboli. A chi aveva partecipato al rituale di Bandizione di Demogorgon non ci volle molto per comprendere che il disegno ricalcava esattamente quello disegnato allora. Arthur in risposta agli sguardi si limitò a dire:

“Noi passeremo. Altri verranno. La Conoscenza di quel Rito non deve essere persa”.

Tengu abbassò il capo.

Si chinò accarezzando le figure, percorrendone alcune con le dita come un bambino disegna sulla sabbia bagnata. Poi si rialzò in silenzio, pensieroso.

Alcune poltrone erano state disposte vicino al camino, insieme a un mobiletto bar.

Bene o male ci si poteva accomodare e sistemare. La tensione che aveva accompagnato gli empatici si alleviò. Tra quelle spesse mura il mondo sembrava un poco più distante, come se il tempo scorresse in modo diverso, più vicino al ritmo interiore di ciascuno.

 

E fuori dal tempo sembrarono scorrere le due ore successive. Il maggiordomo della villa accompagnò chi desiderava riposare in alcune stanze al piano superiore. Ci fu modo di lavarsi e di dormire un po’. Molte delle porte erano chiuse a chiave, lasciando loro a disposizione soltanto parte dell'ala dove era il salone.

Non era stanca, Enkada, e dunque rimase di sotto a osservare gli stucchi e i decori delle pareti. Di nuovo il capriccio prendeva il sopravvento e la trasformava nella studentessa in gita di piacere. Tra le dita stringeva ancora la targhetta di metallo. Eppure credeva di averla posata...

Le ore trascorsero in un silenzio soffuso: troppe cose erano accadute sotto il ristorante per non rifletterci sopra. Qualcuno chiacchierava e scambiava opinioni, ma in maniera molto leggera: tutti erano consapevoli che il cammino intrapreso sarebbe proseguito di lì a poco. Arthur aveva scambiato alcune parole con Tengu e Pantarkos, poi si era ritirato insieme agli altri Destinanti. Anche Marco era andato a riposarsi: un riposo che preparava, raccoglieva e purificava.

Quando si radunarono di nuovo tutti nel salone, la sera si stava trasformando in notte. Nessuno aveva toccato cibo, mantenendo fede alla richiesta di digiuno fatta dai membri dell'ormai sciolto movimento di Psiche.

Il Tengu, tornando, si lasciò cadere in accappatoio ancora umido su una grande poltrona. Rimase così per un po'. Raccolse le gambe nude appallottolandosi sullo schienale e si concesse di chiudere gli occhi, aspettando.

Arthur sedeva vicino al camino, dando le spalle a un enorme arazzo che dominava il salone. Su di esso era raffigurata l'antica iconografia delle tre dame. Cloto, Lachesi e Atropo sembravano osservare cosa stava accadendo nella loro antica dimora.

L'ultima volta che Daniela era stata lì, era da sola e aveva ricevuto un sogno. Accoccolata su una poltrona, le gambe ripiegate sotto di sé, la donna abbraccia ora con uno sguardo l’irlandese e gli altri Destinanti: si erano ritrovati in quel salotto disorientati, confusi, più o meno in fuga. Damien ancora molto provato, appena uscito dall'ospedale; lei tornava da Firenze, dove si era rifugiata con Patrizia. Lì aveva incontrato Menestrello. Dice ancora di amarla, eppure. Un'occhiata a Black. Eppure qualcosa non torna proprio nella sua versione dell'incontro con Claudio. Flavius ha ragione. Si chiede come reagirebbe il Sognante se sapesse quello che lei sta facendo. Il suo amore per le domande oziose. In quegli stessi giorni Semirea aveva chiesto di poterla incontrare. Ricorda bene l'incertezza. Nel vano di una delle finestre si staglia la figura di qualcuno che, stavolta, non è Abrham, il dolore per la morte della moglie ancora recente.

 

“La successiva tappa del nostro cammino iniziatico inizierà tra poco”.

La voce dell’irlandese risuona chiara nel silenzio della stanza.

“Ma in attesa che le stelle siano nella giusta posizione credo che sia necessario fare un po’ di chiarezza tra i nostri pensieri. Il Rituale al sacrario di Psiche aveva un significato ben preciso, che andava oltre la semplice ricerca di Energia. Era la prima tappa di questo cammino, che ci porterà a essere uomini e donne nuovi. Qualunque sia la Sorte che ci attende non c'è dubbio che noi saremo cresciuti, nella nostra comprensione, nella nostra conoscenza di noi stessi, nella conoscenza delle nostre emozioni. Ma è una strada che stiamo percorrendo assieme, e forse qualcuno di noi ha delle cose da dire agli altri. Questo potrebbe essere il momento giusto”.

 

La voce del Maestro si intreccia ai pensieri di Daniela.

Una volta ancora, le sue scelte l'hanno condotta qui, al fianco dei suoi Fratelli in Destino, accanto ad altri dei quali un tempo avrebbe diffidato. Nella grande stanza il suo passato sembra rifluire e ritrarsi, i ricordi si stemperano: intorno, il presente della voce di Arthur che invita a parlare. Ma non le riesce. Raccolta in sé, si limita a osservare. E la sua mente si muove sul silenzio come nel fiume un insetto dalle lunghe zampe.

Davanti allo sguardo deciso di Arthur, nessun altro parlava.

C'era veramente qualcosa da dire? Qualcosa da comunicare?, si trovò a chiedersi Enkada.

Le emozioni dei presenti erano chiaramente leggibili sui loro volti, le vie che li avevano condotti a quella scelta le erano sconosciute, come loro non conoscevano i sentieri che lei aveva percorso, ma non era importante. Non era necessario comunicare che si fidavano gli uni degli altri, o che si sentivano legati, più che fratelli. Non serviva dire quanto apprezzassero ciò che stava accadendo, perché la presenza di ognuno ne era la conferma.

Ma forse qualcosa da dire c'era, e così fece un passo avanti: "So che ciò che dirò non serve, perché i nomi e le azioni di coloro che oggi non sono con noi sono vivi in ognuno dei presenti. Ciò nonostante io desidero menzionare chi mi fu caro, perché sappiate che lo porto con me, in questo rituale. Io desidero ricordare Alex Gloom, che mi fu più caro tra tutti i fratelli, perché io percorro una strada che lui non ha potuto seguire, ma che sono certa avrebbe apprezzato. Io desidero ricordare Enrico Croce, perché mi è stato maestro, e devo a lui quel poco che so".

Sorrise lievemente e tornò a sedere.

Debole, la voce familiare del Tengu, lo sguardo chino: "Un tempo ero assai distante da tutto questo... persi... per la prima volta... qualcuno che amavo...".

Il “qualcuno che amavo” rimbombò come uno specchio rotto, come plastica che sfrigola sulle fiamme, come punta d'acciaio che graffia un vinile. Deglutì: "Odiai Destino... con tutto me stesso... ogni fibra, ogni cellula di me intonava un coro di protesta... di Rivoluzione... contro ciò che il Destino aveva deciso per me..."

Sorriso malinconico: "e ora queste parole perdono ogni significato... che buffo... c'è voluto molto per accorgermi della mia debolezza... molto... una manciata di mesi in questi tempi sono tanto tempo... soprattutto per me... e ora eccomi qui... abbraccio il mio Destino, la mia strada, la mia Scelta... e voglio andare avanti, comprenderla, esercitarla… e avervi qui... vicini, è come avere qui il mio passato, le terre che abbiamo attraversato, i cieli sotto i quali abbiamo dormito... è tremendamente triste e tremendamente bello... perché con voi…" – alza il capo e lo sguardo è lucido, con quell'espressione forzatamente felice che trattiene le lacrime.

Ed è qui che si incrina una porzione, seppure infinitesima, ma probabilmente importante dell'animo del ragazzo che gli altri chiamano Nero... gli altri; giusto! Cosa aveva fatto per gli altri? Cosa aveva condiviso con gli altri?

Tutta questa faccenda continuava ad apparirgli come non sua, non perché non vi credesse, ma perché era qualcosa di dovuto, non voluto! Odore di sandalo! dove? Ad essere sinceri erano poche le persone alle quali si sentiva legato in quella stanza: certo, le rispettava e credeva nella necessità delle azioni di tutti, ma in quanto alla comunione di sentimenti... qui ne era tagliato fuori.

La sensazione della sabbia che scotta sotto i piedi! ancora?

"lei signor Nero ha difficoltà a relazionarsi con gli altri" mavaff... Diciamo piuttosto che sono poche le cose che vale la pena di discutere... Lampo: uno specchio innanzi a me, l'ennesimo di una serie... Un Uomo Nero, dal sorriso lucente e la forma cangiante, un'Ombra mi sorride e prende fuoco.

 

"… bè con voi ci sono anche loro e..."

imbarazzo, non piangere, piantala Tengu, basta con queste scene da primadonna.

"vabbè fanculo avete capito, l'ho detto e basta, non dovete mai provare a farmi dire qualcosa di serio che poi esagero sempre". Ride. Ma gli è sfuggita una lacrima.

C'è invidia rapace da parte del Nero per quello che ha detto Marco… Ma questa è una questione che deve risolvere da solo: commiserarsi è la cosa che lo manda più in bestia!

 

Alle parole di Enkada Daniela si era alzata, tradendo, pur nella lentezza della mossa, una certa irrequietudine. Si versò un bicchiere di vino bianco e se ne restò in silenzio, ancora più appartata di prima, osservando il proprio riflesso nel vetro buio di una finestra. Forse il ricordo di Croce l'ha turbata. Forse c'è altro.

L'associazione fatta da Enkada. Chissà com'era Gloom. In fondo, lei ne ha conosciuto solo gli scambi di insulti con MOMM. Comunque sia, ora torna a osservare gli altri. La totale assenza di imbarazzo del Tengu la sorprende sempre: è così a suo agio con il proprio corpo. Lo sguardo scorre torpidamente oltre. Damien Tarrant. Vuole chiedergli cosa sa della morte di Enrico. Ma non ora. In disparte, il Nero sembra persino più irrequieto di lei. Isolato. Daniela si avvicina, gli porge un bicchiere: "Vuoi?".

Per una volta tanto, non sorride. Non è ostilità, ma la concentrazione, la tensione che quello che dovrà fare più tardi le causano. La sua Responsabilità, per quanto piccola.

Il Nero lentamente si gira.

Per Daniela è come specchiarsi in due pezzi di ghiaccio verde, per lui parlare a un punto interrogativo.

"Volevo chiederti se hai più saputo nulla di Thomas, Bart e Alessandra. Se posso fare qualcosa, metterti in contatto con altri Fratelli del Pathos... Siamo impegnati in qualcosa che definire importante è riduttivo, ma non posso fare a meno di pensare alla loro sorte. Sapevano che poteva trattarsi di una trappola, ma hanno accettato ogni genere di rischio per non lasciarmi sola. Devo loro molto. E devo qualcosa anche a te".

“A me?”, pare stupito, ma la ragazza intuisce una nota irriverente nel suo sguardo: “Mia signora...”

Si ferma, lo guarda dritto negli occhi: "Hai lottato per Enrico facendo tutto il possibile, quella volta. Non capita spesso. E pensare che non so niente di te".

Lui fa un profondo respiro, pare non gli piaccia la piega che ha preso la discussione:

“Allora, penso sia necessario chiarire alcuni punti..”

Oramai è già sulla veranda. L'aria fresca della sera scivola leggera tra le fronde, in lontananza stanchi richiami di uccelli rimescolano le ombre nella notte.

“Allora...”, lo sguardo perso lungo l'orizzonte, “per quanto riguarda i tuoi compagni, quel che ho detto nella cartiera è quanto! qui non posso fare molto altro, se hai qualcuno che può pagare il loro riscatto contattalo; loro certamente te ne saranno grati!”.

La Destinante non riesce a cogliere sentimenti in quella voce: prima in lui aveva visto solitudine, ora neanche quella! L'odore asettico di un ospedale, ecco cosa le ricorda la figura che ha di fronte: lucido metallo e indifferenza avvolti nell'etere. Ha l'impressione di perdere solo tempo con questo tipo, eppure... tre persone, anzi, forse di più, tre persone diverse ha incontrato in quella stanza: e forse nessuna di queste è quella vera.

"Bene", e Daniela si ferma, sorseggia lentamente il vino. È facile capire come lo stia facendo solo per prendere tempo, per placare l'irritazione che, pure, il Nero percepisce nettamente da quel solo, secco commento. Però lei gli si affianca, senza cercarne lo sguardo immerge il suo nel verde notte degli alberi del parco, mentre parla, la voce inaspettatamente calma.

"Sì, conosco qualcuno. Ma trattandosi di Menestrello, e... anche se lui mi considera la sua donna... potrebbe essere molto pericoloso cercare di parlargli. Non voglio mettere a rischio la vita di tutti noi. Speravo che tu potessi dirmi qualcosa di più, che sapessi sciogliere i miei dubbi. Forse sai chi altri è stato contattato.

Per il resto: non mi aspetto nessuna gratitudine. Voglio bene a Thomas e a Bart, tutto qui. Mi sento responsabile della loro sorte. Ma non mi aspetto che tu mi creda. O che ti fidi di me".

Il tono si fa amaro. "Scusami per il disturbo, Nero. Tendo a dimenticare che è questo il Pathos: questa ostilità insensata tra Fratelli".

Un sorriso sarcastico si fa largo nell'impassibilità del volto del Nero, per poi trasformarsi in un'espressione di muta fatalità. Pare non ritenere necessario commentare le parole appena sentite, anzi, si limita a fissare la figura che gli si para di fronte in completo silenzio, quasi a soppesarne le intenzioni: prima le mani, poi gli occhi, la bocca, ascoltandone il respiro, studiandone i lineamenti.

Daniela fa per rientrare. Poi sembra ripensarci. Lo scruta.

"Una volta mi sono trovata, qui alla villa, a rifiutare l'aiuto del Tengu e di Black per paura, per diffidenza. Era molto tempo fa. La mia incapacità di fidarmi poteva causare un disastro". Fa spallucce. "Ma questa è un'altra storia e le parabole non servono a nulla. Sicuro di non volermi aiutare a capire qualcosa di te, mio incomprensibile signore?", replica facendo il verso alla sua frase irriverente.

E una risata deflagra nella veranda come una molotov, schegge impazzite investono come turbine, e nell'occhio di questa bufera la figura del "Nero" cade in frantumi come uno specchio rotto...

odore di sabbia

Curvo su se stesso soffoca quel che resta dello spasmo, poi, con occhio arrossato alza il capo.

“Questo è il problema…”

Lampo: uno specchio riflette una figura indistinta

“Non lo so neanch'io cosa sono...”

Una mano stanca accarezza una guancia pensierosa...

“Principalmente il problema è questo!

Niente effetti speciali, niente oscuri segreti: solo una melma vischiosa nella quale rotolarsi. Ora, vorrei dire qualcosa di meno banale, e magari anche meno scontato.... ma questo è quanto!”

Il silenzio scandisce la marcia tumultuosa dei pensieri che gli affollano la mente. Poi, come scosso da un'urgenza, il Nero riprende:

“Tu ti muovi in un mondo di... certezze? chiamiamole così, comunque in un sistema di valori saldi, derivante da esperienze e conoscenza maturate nel corso della tua esistenza... o almeno questo è quello che credo! io al contrario non ne ho: tutto quello che ho visto, provato, mi appare come visto e provato da un altro! Come caduto ed eroso dal tempo. A volte mi pare di essere come gesso che assume la forma dello stampo in cui finisce, e come tale friabile, precario! Vivo di emozioni riflesse, ecco.... vuoi per paura, vuoi per orgoglio... È per questo che quel che faccio lo faccio più per necessità, che per calcolata volontà... Sono in continuo divenire, in continua distruzione... forse solo un indeciso! Sono consapevole che questo è sintomo di immaturità, ma sono il primo a dire di non essere completo! In fondo è questo che sto cercando!”.

Daniela si accorge ora del coccodrillo che è apparso sul petto del ragazzo… sta spartendosi con un lupo quel che resta di una figura umana!

Improvvisa, una voce femminile li richiama al presente. Sulla soglia della veranda, intrisa di buio, si staglia la sagoma di Patrizia, la massa scura dei suoi capelli: “Daniela, dobbiamo andare”.

 

All’interno, Arthur si era alzato e scambiò uno sguardo con le due donne: il momento era giunto. Il secondo rituale di questo cammino doveva essere compiuto. I fratelli riuniti nella sala se ne resero subito conto, e si mostrarono pronti, alcuni anche ansiosi, di proseguire.

“Destino è un Sovrano silenzioso. Vi prego di mantenere il silenzio da adesso fino a quando raggiungeremo il sacrario. Fate che il silenzio sia anche dentro di voi, in modo che possiate udire il vostro stesso cuore”.

Sentire il mio cuore... mi fosse mai risultato difficile Arthur... è il pensiero inespresso del Tengu.

Fa quasi male... è come respirare consapevole d'ogni fiato... e mi capita talmente spesso che ormai le mie parole... sono un canto sul ritmo del mio cuore

TUM TUM

Ora silenzio

TUM TUM

TUM TUM

 

La voce di Arthur è cambiata, sia nel timbro che nel tono. È molto più profonda, e trasmette una calma infinita, come uno specchio d'acqua immota. Al suo collo è ben visibile una collana in oro rosso. Sembrerebbe ricordare per foggia un torc celtico, ma solo nelle proporzioni. L'artista sembrava aver lasciato il suo lavoro senza rifiniture, la treccia di fili d'oro si sfaldava in più punti, dando l'impressione che l'irlandese portasse al collo un pezzo di filo spinato.

Si diresse all'esterno della villa.

Non si fermò ad attendere gli altri, incamminandosi in direzione del promontorio sul lago. Silenziosa la processione lo seguì nel buio del parco, muovendosi all’unisono. Nessuno rimase indietro. Nei dieci minuti di cammino la luna restò nascosta dietro alcune nubi e in lontananza un branco di cani ululò. Infine la parete del promontorio si stagliò sopra di loro: nell'oscurità si intravedevano le grotte, come occhi ciechi di buio ancora più oscuro.

 

Il volto di Tengu è una falce di luna nel profondo del suo cappuccio.

Sotto le lunghe ciglia, tre brillanti incastonati nella pelle.

 

Enkada guardava dentro di sé. Silenzio interiore aveva detto? Dentro di lei regnava il caos. Sempre così: non si era figli di capriccio per caso, e lei si sentiva ancora legata a suo padre, nonostante tutti i rituali e tutte le parole. Era parte della sua stessa natura.

Rincorse i pensieri più caotici e cercò di metterli a tacere. Cosa ne sarebbe stato del futuro? Non ora. Dov'erano i suoi fratelli? Dan? Mander? Non ora. Chi avrebbe pagato il riscatto della Dia? Non ora. Sospirò.

Arthur stava indicando ai presenti una sottile apertura che si apriva nella roccia alle sue spalle. Era larga a sufficienza per far passare un uomo, ma non un claustrofobico.

Daniela era ferma immobile, di fianco all'apertura, rivolta verso i pellegrini.

La sua voce risuonò sicura, e le sue parole erano Verità.

Mentre pronunciava la prima frase, la donna estrasse da un sacchetto qualcosa che avrebbe potuto essere sabbia, ma scura, granulosa: la mostrò nel palmo della destra sollevato, il braccio teso davanti a sé, e infine rovesciò la mano stringendo il pugno e facendo scivolare la sabbia a poco a poco, la lasciò scorrere via, quasi mimasse una clessidra:

“Io sono ieri, oggi e domani

ciò che è divenuto, ciò che diviene, ciò che diverrà

Ciò che resta inconoscibile – questo è il Destino detto Morte

Abbandonarsi alla sua pienezza – questo è il Destino detto Necessità

Ma nell'intrico dei sentieri – scegliere il nostro

Nel dolore della scelta – scegliere

Questo è il Destino detto Libero Arbitrio

Poiché un tempo era il mondo degli dei

Poiché dell'Uomo è il Mondo del Tempo

Poiché nel Mondo del Tempo noi siamo

per trasformare il Destino in Libertà

Poiché splendido è l'Uomo che, senza conoscere ciò che è scritto,

avanza fiducioso, come fosse Immortale,

colmo di luce e libero è l'Uomo che agisce”.

Poi si avvicinò all'apertura e tracciò sopra di essa un simbolo antico, una ipsilon che sormontava l'infinito.

“La Guardiana ha aperto la Via”, spiegò Arthur mentre Daniela entrava nello stretto passaggio, “ora ciascuno di noi potrà seguire la sua strada verso il Sacrario. Non avrete nulla da temere, anche se il percorso potrà essere ricco di paure. Ciascuno di noi seguirà la sua via da solo. Nel buio della roccia troverà un sentiero che lo condurrà al Lago Sacro. Destino benedice il vostro arrivo al suo Sacrario”.

A uno a uno gli empatici si fecero coraggio ed entrarono nel cunicolo buio.

 

 

Parte seconda: Nel Sacrario

 

Al momento di imboccare il cunicolo, le parole di Arthur erano suonate rassicuranti, ma l'idea di dover seguire un sentiero in una grotta nel buio più completo non aveva allettato molti. Una sensazione strana, quasi inesprimibile guidava i loro passi. Ognuno si rendeva conto di essere solo in quel cunicolo buio, stretto, ma in cui scorreva una fresca corrente d'aria. I Figli del Pathos non si chiesero dove fossero i compagni, sapevano che una domanda del genere avrebbe scatenato paure che era meglio non risvegliare.

Si concentrarono piuttosto sulla sensazione che sembrava guidarli nella tenebra. Era come se le svolte e i cambiamenti del sentiero fossero in un qualche modo naturali, conosciuti. Verso la fine del tragitto alcuni si sorpresero ad anticipare le deviazioni, altri a riflettere sui loro ricordi, sulla loro vita e sul Risveglio. La discesa avrebbe potuto ricordare il ritorno in un ventre materno, ma la sensazione era diversa.

 

A ogni svolta un volto, Tengu.

A ogni passo un’emozione perduta, e una ritrovata.

A ogni battito una lama che entra ed esce.

 

Era come se passo dopo passo ci si avvicinasse a un luogo sepolto nel profondo del proprio essere, dove i pensieri non avevano significato, solo le emozioni esistevano.

Finalmente, i pensieri di Enkada in quell’oscurità si erano acquietati. Aveva seguito la via con facilità, perché fin dal suo ingresso nel Pathos aveva seguito il suo sentiero: amaro, doloroso, terribile, ma lo aveva scelto e seguito con sicurezza.

Improvvisamente, percepì la vicinanza degli altri, quasi che i sentieri si fossero riuniti in un corridoio di roccia più grande. La corrente d'aria era ora più forte e portava con sé il rumore dell'acqua.

 

“Questo è il Luogo in cui Destino e le sue Note si incarnarono per la prima volta. Questo è il luogo in cui il Sovrano entrò nella Narrazione”. Arthur pronunciò queste parole mentre i pellegrini uscivano dal cunicolo, indicando con un ampio gesto del braccio l'ambiente che lo circondava.

Si trattava di una grotta di dimensioni abbastanza ampie: un grosso crepaccio si apriva nella volta e attraverso quello la luce della luna rischiarava l'interno. L'ambiente sotterraneo era allagato, a eccezione di una piccola zona in cui si trovavano gli emphatici e una zona dall'altra parte della grotta.

Inspirando emozione, buio e umidità, Tengu ha camminato accanto ad Arthur, stordito dal dolore, accompagnato dai suoi fantasmi. Alla sua destra guarda la grotta che gli appare davanti ma, per un istante, il suo sguardo si sofferma sul viso di Artù: il Maestro del Segreto di Destino, il Maestro del Segreto dei più grandi Segreti...

L'acqua che si muoveva seguendo una lenta corrente rifletteva la luce lunare. La grotta pullulava di piccoli riflessi in continuo cambiamento. Un incostante firmamento dipingeva le pareti di roccia con miriadi di scintille azzurre.

Oltre il basso specchio d'acqua un piccolo anfiteatro di roccia, scavato dall'acqua in ere passate e modellato da mani mortali e immortali. Nella roccia erano state scolpite sette gradinate di sette scalini. Al vertice di ogni scala, un trono di roccia, vuoto.

Mentre gli occhi dei presenti si abituavano alla luce argentata nuovi dettagli si schiudevano alla loro vista. Le pareti erano ricoperte di dipinti preistorici, simili a quelli presenti in alcune grotte francesi. Sull'altro lato sembrava di intravedere altre pitture, ma di fattura storica.

 

I Destinanti attesero che tutti fossero entrati e poi si immersero in acqua, dirigendosi verso l'estremità opposta della grotta. Giunti vicino all'anfiteatro si voltarono e fecero cenno ai Fratelli di entrare nel lago.

L’acqua non era alta più di un’ottantina di centimetri, e non sembrava fredda. Anzi, in alcuni punti era calda. In molti si sorpresero a domandarsi se ci fosse qualche sorgente termale. Si disposero a loro piacimento nel lago sacro, abbandonandosi al benessere che sembrava giungere dall'acqua.

 

Ancora una volta l'acqua, che per Tengu era stato l'inizio, una morte, il Risveglio.

Un volto di bambina che sparisce nel buio turbinante.

 

Enkada entrò senza esitazione. La trovò fresca, mentre le lambiva le caviglie e saliva lentamente. I pantaloni di tela le si incollarono addosso. Si bagnò i polsi, poi prese un po' d'acqua sul palmo della mano e si bagnò anche il viso. Si ricordò di quando in estate andava al mare, a Rimini, e il ricordo contribuì a rilassarla ulteriormente. Raggiunse un punto vicino alla parete di roccia, sotto una serie di graffiti preistorici, e lì si fermò in attesa.

Era piacevole – si sorprese a pensare il Nero – la sensazione che il vestito bagnato dava: una guaina protettiva; una nuova placenta!

 

Le voci di Daniela e Patrizia cominciarono ad alternarsi, mentre l'acqua veniva raccolta nelle mani a coppa e portata a detergere il Volto.

 

“Omaggio a Te, Destino, Signore dell'eternità,

Sovrano tra gli ETERNI, i cui nomi sono molteplici,

le cui forme sono sacre”

 

“Nessuno può vedere se stesso

nell'acqua o in uno specchio

senza la Luce, Padre.

Per questo

Il silenzio ho percorso, il buio ho attraversato

Il buio nel quale si nascondono le paure

Il buio che era in me ho affrontato in solitudine”

 

“Ora emergo alla tua luce, Padre,

ora immergo il mio corpo nell'acqua calma del Tempo

Scorra lento sulla mia pelle

Del suo abbraccio non ho paura”

 

“Lasciate che il vostro cuore parli, Fratelli,

in voi prenda dimora la Luce che non ha fine

Non vi preoccupate di ciò che resta”.

 

Cosa resta? Come cerchi nell’acqua, i versi del rituale echeggiavano in Tengu.

 

“Non cercate di fare ritorno a ciò che avete gettato”

 

L'innocenza è virtù degli infanti, e tu non sei più un bambino.

 

“Non fatevi indebolire dal rimorso per quello che non avete potuto”

 

…indebolire... tutt'altro... tristemente più forte, drammaticamente

pronto... efficientemente attivo.

 

“Non consolidate i vostri ostacoli: essi crollano, perché sono solo macerie”

 

Lontana è la mia spada.

Lontana è la mia maschera.

E questo lago sono le mie lacrime... perché non ci sono macerie... solo cadaveri...

 

L'acqua scese sui volti, scacciando la stanchezza. Spazzando via ogni pensiero per un istante, e liberando i ricordi. Pochi tra coloro che avevano ascoltato l'invocazione dei destinanti erano pronti per una sensazione così intensa.

A frammenti, a miriadi, con ordine o senza, dolorosi o gioiosi i ricordi si affollarono alla mente dei partecipanti. Immagini, suoni, odori, sensazioni ed emozioni di eventi passati travolsero i loro sensi, lasciandoli storditi.

In molti ebbero una difficoltà iniziale a controllare il flusso di ricordi, ma la sensazione dell'acqua e il canto dei Destinanti furono di aiuto.

 

Che strano, pensa Daniela. L'acqua porta ricordi così piccoli, quasi lembi di foto di cui non vedi l'intero. Una ciocca ramata di capelli sui quali batte un sole pigro. Ha preparato il caffè e i tuoi occhi assonnati colgono divertiti il disordine della cucina. Gli dici che lo hai sentito parlare e gli rispondeva una donna. Spiragli di luce in una camera d'albergo. Devi andare, ma ti bacia sul collo, ti prega di. Ora potresti rispondere a Menestrello. Non era amore per il Maestro. Ora lo sai. Avevi bisogno di una figura fisica, di una forma per la tua Fede. A Destino appartieni e a Lui solo.

Lo schianto. Quanto lontano. La prima volta che crolli a terra svenuta ti sembra quasi di riviverlo, come in un rito grottesco. Con un piede, disegni circoli sulla ghiaia e Flavius ti osserva, cercando di capire il senso della tua reticenza. Accenna al bracciale che hai appena raccolto da terra e richiuso attorno al polso: "Non ti piacciono le costrizioni, vero?". Sto per morire e non mi importa e voglio essere sola. La mano di Sergej sulla spalla, "vengo con te", e non ammette repliche.

Sonno. Ti sei addormentata sulle scale, hai poggiato la testa al muro. Semirea ti prende tra le braccia come se fossi una bambina. Thomas si appoggia al parapetto: "Tu conosci i Sognanti... avevi già compreso che è Incubo a guidare i miei passi ora". Devi proteggere chi si fida di te. Arthur ci saluta, cercando di entrare nella stanza senza rovesciare il vassoio che ha in mano. "Servizio in camera, fanciulli!". Accanto a Valerio, ti chini per raccogliere il bracciale e il dolore del colpo alla spalla ti stordisce. Patrizia è ferita. Seduta con te al tavolo di un locale gay, ti sorprendi a sentirla imprecare.

Che strano. Ti sembra di osservare una ragnatela colpita dal sole, imperlata delle ultime gocce di pioggia. Lontane, si stagliano parole di Destino, Scelte, Morti. Ma tu raccogli, ora, frammenti, pezzi inutili di grandi storie, frasi smezzate, sospese. L'incontro in un ristorante con un giovane irlandese: non sai ancora chi sia, non sai cosa succederà.

Immersa nella Luce del Sacrario, puoi osservare con tenerezza quella che eri. La tua vita scorre. Il dolore ha la sua parte. Occupa il suo posto con naturalezza come un amico che conosca bene la casa. La gioia ha la sua parte e fiorisce in una risata breve, argentina. La tua vita. Non sei mai stata così serena.

 

Al suo fianco, la luce si distende piano, quasi una carezza, sul volto sereno di Patrizia.

Ricordi.

Lontani, sepolti nella memoria, e che ora ritornano, scintillando, come i riflessi sull'acqua limpida del Sacrario. Dettagli, piccoli particolari dimenticati. La prima volta che ho servito il Sovrano, la mia prima missione:

"C'è da fare un lavoro a Gerusalemme. Interessa?"

"Chi è quest'uomo, Padre?"

"Il professor Migliorini è persona di completa fiducia, vai pure con lui, figlia." Gerusalemme, il sole che scintilla sulle mitragliette dei falsi infermieri. Il Baltico, le aringhe con i crauti, e Momm che mi dice che non mi baratterebbe per meno di un fuoristrada con l'alzacristalli elettrico. Dove sei amico mio? Sei stato il mio maestro dei novizi, ho imparato tutto da te. Il cielo del deserto africano, le stelle così grandi che ti sembra che potresti toccarle.

Merlino, il sangue sulla sabbia che si rifiuta di assorbirlo. Casa mia, dopo l'Armageddon, a discutere che cosa faremo adesso, le facce dei miei fratelli. Il dolore per quelli che non ci saranno mai più, la determinazione a continuare, a ricostruire. E Arthur che mi dice "Abbiamo una nuova novizia, si chiama Daniela, dovrai occupartene tu, insegnarle". La prima novizia dopo così tanto tempo, qualcosa di nuovo, una speranza per il futuro. Ti ho davvero insegnato qualcosa, Daniela? E ancora le stelle dell'Africa, l'odore della paura e della morte, Damien che lotta, contro il presente e contro il passato, i suoi capelli bianchi schizzati di sangue. Ricordi, frammenti di una vita dedicata al Sovrano, che scorrono dentro di me come l'acqua cristallina scorre ai miei piedi, qui, nel Sacrario, l'unico luogo ormai dove mi senta a casa, in pace, dove tutto abbia un senso.

 

Enkada vacillò lievemente e si appoggiò alla parete di roccia mentre i ricordi la assalivano. Il giorno della sua laurea, il padre commosso in lacrime. Una mano che gettava via una targa... Avv. Paola Marcosanti. Praga... Ponte Carlo. Alex... AlexGloom le stava sorridendo. Una melodia d'arpa la avvolse... era davvero un ricordo? Poi un profumo, profumo di biscotti appena sfornati in un casale nascosto. Rivide suo fratello guardarla con odio, mentre cercava di spiegargli che era il Prescelto... e poi due occhi verdi e avvertì (la avvertì davvero!) una mano calda sulla pelle. Chiuse gli occhi per riaprirli su un'enorme discarica, e poi su un cielo stellato, sotto la cui volta una voce amica le parlava di Bha.

 

Zed sente ancora quell'aroma che sembra offrire paesaggi paradisiaci, quel tessuto caldo e vellutato sulle papille, quel retrogusto che si affievolisce molto lentamente. Joe Heitz Martha's Vineyard, 1974...

Aureliano che li traguarda tra gli archetti dell'alcool, che annusa l'aroma, che cerca le parole come per definirne le caratteristiche: "Morte, Necessità, Libero Arbitrio e Responsabilità; quattro sono i volti del Destino, perché quattro sono i volti dell'uomo. La leggenda massonica del Portatore di Luce a quello fa riferimento; al volto della Responsabilità. Presto accanto a voi Tre Motori siederà il Quarto Motore, e il Cammino potrà essere compiuto".

Erano in quattro quel giorno, Lord, Hoff, lui e Buendia. Il quarto motore comparve quasi un anno dopo; erano di nuovo seduti intorno a un’altra bottiglia di quel vino; i tre Motori, Buendia e questa nuova persona che Lord aveva condotto con sé e che parlò loro della Pergamena Atlantidea, della Lancia e della Spada; un giovane ambizioso, irruente, fiero di sé: "Nei suoi occhi vedo la stessa luce della Fiaccola", commentò Aureliano.

E aveva ragione, pensò Zed, perché Brother Elgar aveva una sola aspirazione, mettere le sue notevoli capacità al servizio di una causa, di una qualunque causa. Ma in lui mancava ancora un elemento, mancava la Fiamma che accendesse la Fiaccola, che illuminasse il Cammino; mancava la Responsabilità. Una giovane donna, quasi una ragazza, ma Zed era rimasto colpito dalla sua forza; non è facile scegliere di mettersi nelle mani del proprio nemico, rassegnarsi a una morte atroce per lento soffocamento pur di non tradire; pochi erano riusciti a superare il rito di passaggio. "La forza in lei si chiama Responsabilità; Aureliano ha scelto bene", commentò Lord a Zed, mentre stava scaraffando la bottiglia intorno alla quale si concluse l’alleanza che Buendia aveva predisposto e che accese la Fiaccola del Portatore di Luce illuminando il cammino verso il Nuovo Millennio.

"Chiamatemi Ismaele, io solo sono sopravvissuto per raccontarvelo".

Zed sentiva ancora l’aroma e il gusto del vino, ricordava con nostalgia le promesse che aveva mantenuto, confondendo fra di loro le tre cene, sentendo accanto a sé gli amici con cui aveva diviso il Cammino, Hoff, Lord, Buendia, Elgra, Marzia. "Joe Heitz Martha's Vineyard, 1974; me ne resta una sola bottiglia; la berrò con voi, amici", mormorò fra sé.

 

Afa e sudore! Il ricordo investe il Nero con forza.

Il caldo soffocante dell'estate: un ragazzino biondo gioca a basket il 12 agosto 1983, "io ho una sola parola": facce perplesse di compagni. Due occhi neri come la pece, il nulla e il suo contrario, “Sì padre! una scatola del meccano per natale!"... “ma questo non è quello che avevo chiestoooo!" Un singhiozzo trattenuto nel buio. ...silenzio... La pesantezza del cuoio e del sudore: 10.000 voci, un unico grido! Basta! no, non è giusto! Strani simboli scritti con il sangue....

 

La testa di Damien era stata china fino al raggiungimento del sacrario, si sentiva come isolato, avvolto: il flusso di ricordi infestava senza sosta la sua mente.. tolse la maglia prima di avere un contatto con l'acqua... E poi… i ricordi ripresero a divagare nel cervello ma sotto una luce più grande più calda... raramente o forse mai aveva avuto questa sensazione. Si passò l'acqua sul petto, sulla cicatrice di Demogorgon, sulla superficie dove spesso si stringeva sua madre, dall'interno verso l'esterno e viceversa... le mani bagnate calavano sul volto e nel senso inverso la testa si alzava rivelando un grande sorriso. Ancora e ancora la versa sulla testa come ubriaco...

"Al-Qadr, il Destino

Al-Bayyina, la Prova

An-Nas, gli Uomini

 

Lo abbiamo fatto scendere nella notte del Destino,

E chi potrà farci comprendere cos'è la notte del Destino?

La notte del Destino è migliore di mille mesi...

in essa discendono i suoi Insegnamenti e le Visioni,

I Figli e il loro Spirito...

Ed è pace fino al levarsi dell'alba.

Al-Falaq, l’Alba Nascente”.

 

Bruno si sente pieno delle emozioni del passato, molte delle quali spiacevoli. Le passa in rassegna controllandole una per una per capire quali vale la pena di conservare e quali no, quali ancora oggi contano e quali sono state sostituite da altre. Sulla sua infanzia non si sofferma, troppo distante, troppo difficile da ricordare, gli rimane solo un vago senso di fastidio. Dall'adolescenza in poi un baratro di sofferenza, prima il fumo e l'alcool poi la droga, gli anni dei furti, delle rapine, della violenza. Paura di sembrare debole, paura di sembrare inferiore agli altri, paura della prigione, evitata per un soffio.

Una notte aveva deciso di morire o forse non lo aveva deciso, forse gli sembrava solo appropriato. Il Po doveva essere bello freddo a dicembre ma con tutto l'alcool che aveva in corpo non se ne sarebbe mai accorto. Un cretino però aveva altro in mente perché era evidente che il Po avrebbe dovuto essere parecchio più umido. Il fatto di essere vivo gli riportava alla mente il bisogno impellente di farsi una pera, aveva già i sudori freddi e tremava, segno che erano passate molte ore. Contava di porre fine a quella necessità nel più breve tempo possibile ma non aveva fatto i conti col cretino. Non aveva mai avuto problemi a suonarle a qualcuno, nemmeno a quei fighetti cintura nera di karate ma questo tizio se lo rigirava come un bambolotto e lo rimetteva a sedere ogni volta che provava ad andarsene. Era un mastino, non c'era modo di fregarlo 24 ore su 24, non dormiva mai. La scimmia poco a poco passò ma non la voglia di farsi perché nel cervello cominciavano a farsi strada un sacco di cose che non aveva nessuna voglia di ricordare.

Un giorno becca il mastino che fa panca con un manubrio stracarico e pensa: "Ecco la mia occasione, lo faccio secco, gli frego i soldi e me ne vado". Idea giusta, persona sbagliata, quello solleva manubrio e Bruno. A quel punto lui capisce che non è una persona normale.

“CIA?”

“No”.

“Nome”.

“Darknight”.

“Non sei normale”.

“Non lo sono”.

E così il mastino diventa Darknight che a modo suo si prende cura di Bruno e lo rimette in sesto, gli insegna persino qualcuno dei suoi trucchi. Poi un giorno dice che va all'Armageddon e Bruno pensa che torni il giorno dopo, rimane ad aspettarlo. Aspetta e spera da quella volta lo rivede solo in un paio di occasioni e non c'è verso di cavargli gran ché di quello che sta succedendo. Così si entra in Pathos perché secondo Darknight può servire per crescere ancora.

Il resto è storia recente, emozioni fresche ma meno intense frutto di un nuovo rapporto con la vita.

Gli astanti vedono una lacrima.

Se qualcuno conoscesse la sua storia potrebbe pensare ai rimpianti, ai ricordi dolorosi, alla paura della morte per un morbo che lo ha infettato. Bruno però soffre solo di nostalgia per il maestro lontano.

 

Tarrant stava a torso nudo nell'acqua, il corpo solcato da molte meno cicatrici di quello che ci si aspettasse da uno del suo "settore": un paio, però, erano ben visibili e profonde. Teneva gli occhi serrati mentre i ricordi si affacciavano alla sua memoria, poi li spalancò quando il flusso si fece ruggente e caotico come un torrente in piena.

Intorno a lui quiete, silenzio, immobilità. Guardò meglio gli altri ed erano proprio immobili, persino l'acqua lo era, ghiacciata in spruzzi e ondine scolpite nel cristallo.

Non aveva mai provato a usare il potere di fermare il tempo ma era proprio così che se lo immaginava... doveva trattarsi di questo. Abbassò lo sguardo sull'acqua che lo circondava e notò una luminosità che andava accentuandosi dal fondo. Sulla superficie sempre più brillante e immobile poté distinguere delle immagini che andavano definendosi ma allo stesso tempo si moltiplicavano e salivano dall'acqua a coprire le pareti della grotta, ampliando lo spazio intorno a lui finché non si ritrovò in un luogo immenso, circondato da un'infinità di immagini che lo riguardavano.

E per un istante o un'eternità tutto fu chiaro: a Tarrant si erano rivelate le infinite possibilità, gli infiniti eventi, ruoli e direzioni che avrebbe potuto, aveva preso e avrebbe potuto prendere la sua vita.

Era tutto lì, tutto scritto.

Ma in quell'infinito arazzo preordinato solo lui poteva decidere autonomamente la sua strada, prendere le decisioni che lo spingevano in una direzione piuttosto che in un'altra, e finalmente fu chiaro in che modo fosse sempre il proprio libero arbitrio a determinare situazioni che normalmente vengono attribuite al Fato, benigno o avverso che sia. La conferma di essere Libero.

Quell'estasi di gloria e comprensione svanì come luci che calano in un teatro: Tarrant era di nuovo nella polla d'acqua, circondato dagli altri e dai canti dei Destinanti, gli occhi ancora colmi di ciò che aveva visto anche se il ricordo già si faceva fugace. Nessuno si era accorto di nulla, per nessuno era successo qualcosa o era passato un secondo in più. Ora capiva molti discorsi che gli aveva fatto Arthur e lo fissò: per un poco il Destinante ricambiò il suo sguardo... In breve tempo il sicario si trovò a domandarsi il perché di quella sensazione di tranquillità e soddisfazione che provava. Il ricordo ormai svanito... Notò comunque in tutti i presenti uno sguardo diverso e un'evidente rilassatezza, non sapeva o non si ricordava perché, ma era bello lo stesso.

 

Il vecchio male, Tengu.

In alcune storie sono i gatti delle fate a posarsi sul petto degli umani instillando in loro il perpetuo affanno. La crisi d'asma gli strappa la luce dagli occhi. Non ne aveva dalla notte in cui venne salvato da Galileo. Fischi, violini e sospiri...

…e Marco smise di respirare.

 

 

Parte terza: DESTINI INTRECCIATI:

 

Arranca, il Tengu, mordendo l'aria con ansare malato, le gengive gli sanguinano nel terribile sforzo che sta compiendo. Ogni boccata d'ossigeno è mossa da una volontà soprannaturale. Ogni passo verso la vita è un pezzo di lui che si strappa e urla. Il suo vero punto debole, il suo vero tallone d'Achille... non è mai in ciò che è, ma in ciò che è stato... Marco è una fortezza di forza vitale impenetrabile... costruita su corpi ormai marci e cedevoli... e il suo dolore di bambino, di adolescente e di ragazzo si mescolano in un siero che scioglie la vita, abbattendo la fortezza pezzo dopo pezzo...

Prende però comunque parte al rito.

La concentrazione vacilla ma è bloccata dalla Responsabilità.

"Due giri di scotch argentato, di quello grosso", come gli diceva sempre il prof delle superiori, "e si risolve tutto...". Si risolve tutto... anche se la bocca sanguina.

 

Patrizia si mosse tra gli empatici concentrati: l'acqua le scivolava attorno alle gambe senza fare rumore, i riflessi ne rendevano irreale la figura. Si fermò vicino a Davide, lo osservò per un lungo istante poi, porgendogli la mano, disse:

“Durante il freddo Inverno, hai invocato la Primavera

ora che è giunta, desideri l'Estate

e quando all'erba si mescolano i fragili papaveri

vuoi che torni l'Inverno

La tua mente è un oceano circolare

In se stesso il serpente si avvinghia

e lentamente si snoda sulla terra

Soli lavorano gli uomini sul nero terreno

Il vento non reca notizie di quello che sarà

Chi stende una fila di semi nel solco appena aperto

Chi alza gli occhi verso i bianchi fiori di un albero

Trascorre una nuvola e la sua forma si muta attraverso il cielo

tutte le cose sono sospese

come una goccia di rugiada su un filo d'erba

Ma le azioni che io ho intrapreso, Lughnasad,

porterò a compimento”.

 

Black avvertì una mano appoggiarsi lieve sulla sua spalla: perso nell'osservare i riflessi nell'aria della grotta non aveva visto avvicinarsi Daniela. La giovane donna disse:

“Imbolc,

Il ricordo della Liberazione mi sostiene

come un'ala verso una meta vertiginosa

Le radici sono aggrovigliate nei miei capelli

Le foglie cadute accecano i miei occhi

Ma il fuoco della rinascita brucia nel mio sangue

Nessun legno lo nutre Nessuna pioggia lo estingue

Riposo in me stessa come una pietra sulla sabbia

poiché dalle mie spalle ho deposto il fardello del Tempo

Alle mie spalle ho lasciato il fango,

alle mie spalle ho lasciato il sangue

Più non guarderò nello specchio amaro

che i demoni ci pongono di fronte

Dico che la mia vita non è qualcosa che si debba misurare

Dico che la mia vita opera nella quiete

Né paura né odio per quello che verrà

né pietà per quello che ormai è fuggito

tutte le cose crollano e sono erette di nuovo

e una sola parola il Sovrano pronuncia oggi: Gioite!".

 

Le due donne presero per mano i due Fuochi di Gaia fino a portarli alla riva del lago. I due si fronteggiavano. Estate e Inverno, Nord e Sud, Terra e Fuoco.

Un filo d'argento era comparso nelle mani delle Figlie di Destino, un capo per ciascuna lo avvolsero intorno al polso destro di Imbolc e Lughnasad.

“Il fuoco divampa e brucia, non resta nulla del bosco

Gridano gli animali in fuga

Ma al grembo della terra torna ciò che è bruciato.

Eterna rinascita è il dono di Morte”.

Furono le parole di Damien, pronunciate con voce profonda a sigillare quel legame:

“Corpi come la vecchia pelle del Supremo Serpente, liberate l'anima dei Destinati ad essere liberi.

Anime della Crisalide, rinascete e crescete senza limiti nella vita che vi è stata donata.

Vita! Cerchio dai Sette centri!

Morite! Nel vostro nome e nel nome dei suoi frutti.

Moltiplicatevi! Narrate! Così che il Libro non abbia epilogo”.

 

Max era pronto quando Patrizia si diresse verso di lui, e anche Tengu annuì quando vide Daniela.

“Ricorda il cielo sotto cui sei nato

Ricorda il sorgere del sole all'alba

Ricorda la tua nascita, la lotta di tua madre

per darti forma e respiro

Ricorda la terra di cui condividi la pelle

Terra rossa, terra bianca, terra nera, terra gialla

terra scura, noi siamo terra

Ricorda il vento e la sua voce che trema

Ricorda l'erba che al vento si piega

Ricorda la trama leggera di un sogno appena svanito

La traccia di sangue che scolora

Ricorda, Shamain, che sei tutto l'universo e l'universo è racchiuso in te

Il ricordo ti conduca nel porto della consapevolezza

perché tu sia la saggezza che viene brandita

Poiché colui che trema di fronte a fiamma e a flutto

di fronte ai venti che soffiano lungo i cieli stellati

Che i venti delle stelle che la fiamma che il flutto

lo possano sommergere e nascondere

Ma l'anima di colui che ricorda, respinto tutto l'odio,

apprenda d'essere la gioia di se stessa

E la serenità e il terrore di se stessa

E che ogni sua Scelta disegna il suo Destino!”.

 

Tengu ascoltò l'invocazione a Beltane, con gli occhi chiusi, abbandonato ai ricordi.

“Un uomo vivo è cieco, beve quel che ha da bere:

che importanza può avere se i ruscelli sono impuri?

Ma tu, Beltane, guarda a questa acqua

che ora con le mani porto piano alle labbra.

Ho sopportato la fatica di crescere

l'angoscia del ragazzo che si fa uomo

e poi l'uomo incompiuto con il suo dolore

Della mia goffaggine forse come una tenera madre hai sorriso

Con occhi trepidi mi hai osservato camminare in mezzo ai nemici

Ora alle fonti delle mie azioni sono risalito

Ora la dolcezza della Libertà mi invade

E che quello che bevo da Te sia benedetto”.

 

Risplende lontano l'eco dell'Unione, argentino e sincero sul fondo del lago. E quando un passo decisivo avrebbe dovuto compiersi, qualcosa riporta il ragazzo al punto di partenza. La benedizione giunge con gli occhi che si aprono in uno sguardo gelido. Il respiro di Tengu si rilassa all'improvviso. Pochi istanti in cui tutto risulta chiaro. Un riverbero di qualcosa di lontano tiene Marco in questa realtà. Come un gemello invadente che gli accarezza il petto, gli bacia il cuore e gli morde il collo. Marco ora sembra tranquillo, sostenuto da questa presenza, che durerà poco, ma forse abbastanza.

Nuovamente un filo fu teso tra i polsi dei due fuochi. A sigillare il legame la voce di Sergej si levò squillante:

“Dalle fiamme dell'ultimo Rogo d'Inverno benedici i primi raccolti.

E nel fuoco dell'autunno reclami il tuo compenso.

Eterna crescita è il Dono di Fortuna”.

Arthur, avvicinandosi e descrivendo un cerchio intorno ai quattro, disse:

“Estate e Inverno, Primavera e Autunno.

Forza e Potenza, Cuore e Conoscenza.

Eterna la Ruota del Kalpa ha ruotato davanti allo Sguardo del Sovrano per infinite ere, infinite realtà, sempre uguale a se stessa. Essa ruota, muovendo la narrazione.

È il suo soffio a offrire gli intrecci ai Signori delle Trame”.

 

L'irlandese si avvicinò al punto in cui si incrociavano i due fili, tesi tra i polsi dei quattro Fuochi. Dalla sacca che teneva alla cinta estrasse una massa di fili, sottili come capelli. Alcuni rilucevano di oro, altri di rosso, altri di nero. Le agili mani del chirurgo iniziarono ad annodarli finché in pochi istanti un complessissimo nodo fu ultimato.

Il Tengu era immobile e teso in una postura equilibrata e leggera. Come un ballerino che danza sul picco di una scogliera, tanto leggero da non sembrare così assurdo... nell'atto di volare...

 

“Destino osservò il Kalpa della Narrazione, e ne scorse l'Anomalia.

Il solco della Narrazione, e le infinite sfumature che nascevano dagli uomini. L'intrecciarsi dei loro Destini, le loro emozioni. E in essi il Sovrano vide il Destino di questa Realtà. E Destino divenne Fortuna, Morte e Necessità per incontrare gli uomini, non per imporgli un Destino, ma per permettergli di realizzarlo. E fu così che ogni uomo conobbe il Sovrano, e il Sovrano conobbe ogni uomo”.

Nel momento in cui il nodo fu completato l'acqua del lago sembrò diventare più calda, come se correnti sopite fossero state risvegliate.

I fili che Arthur aveva intrecciato con la Ruota del Kalpa sembravano tracce di argento vivo, il gioco di luci dell'acqua si moltiplicava su di loro rendendoli simili a una tela di ragno. Il Maestro del Segreto ne porse una parte a Damien e Sergej. Quelli neri all'Araldo delle Moire, quelli dorati al figlio di Averroè. Tenne per sé quelli rossi.

Sergej li lasciò cadere nell'acqua del Sacrario, mentre il Maestro parlava:

“E gli Uomini chiusero gli occhi di fronte alla Prima Alba, la luce bruciava i loro giovani occhi.

Nei cuori il timore dell'Ignoto schiacciava le emozioni, ed essi tremanti attendevano... E nella prima luce, occhi di fanciulla, mani da assassino, Fortuna li benedì.

I Figli della Narrazione alzarono il capo, e uscirono dai loro rifugi. L'ignoto possedeva ancora il loro cuore. ma Scelsero: nella buona e nella cattiva sorte, avrebbero iniziato a narrare perché questo era il loro Destino”.

Arthur continuò mentre abbandonava i fili rossi:

“Ed essi intrapresero il loro cammino, dapprima da soli, poi insieme, fino a quando i Figli dei Signori delle Trame li presero con sé e li istruirono.

Necessità camminò tra loro, silenziosa, vista da nessuno ma nota a tutti. E gli Uomini compresero come alcune Scelte fossero Necessarie, non giuste o ingiuste, ma semplicemente necessarie. Non per loro, non per gli altri ma per la Narrazione”.

Infine Damien abbandonò i suoi alle correnti del lago sacro:

“E nel Tramonto l'eco di passi silenziosi si affiancò al cammino degli Uomini. Non ci furono parole, non ci furono attese. Morte li prese per mano, tutti senza differenze. E nell'ultima emozione i Figli dell'Uomo compresero come essa fosse intimamente e indissolubilmente Pathos”.

I fili galleggiarono immoti per alcuni istanti, poi la leggera corrente del lago li disperse, lasciandoli liberi di seguirla in mille direzioni diverse. Fortuna, Necessità e Morte si intrecciarono nel loro dipanarsi.

 

Il viso di Enkada era rigato di lacrime, ma l’anima si librava leggera sospinta dalle parole del rituale. Aveva seguito ogni momento della cerimonia e bevuto ogni parola pronunciata come all’acqua di una fonte. Si accorse dei fili nell’acqua solo quando alcuni le scivolarono contro. Immerse la mano e ne raccolse due neri, uno rosso e uno oro, che la corrente stava in quel momento sospingendo verso di lei. I due neri si erano annodati tra loro a formare un cordoncino. Enkada vi unì gli altri due e poi li legò al polso.

Era difficile per gli empatici distogliere l’attenzione dal muoversi dei fili: li videro prima disperdersi casualmente, e poi dirigersi sospinti da Necessità e Fortuna verso ciascuno di loro. Le mani di molti si mossero con sicurezza, raccogliendo i fili che il Fato aveva diretto verso di loro. Uno per colore, uno per ogni Volto di Destino.

La sensazione della seta bagnata sui polsi diventò una guida, nella Tempesta dei Ricordi. Una mano che li guidava sicuri in ciò che l'Acqua del Ricordo aveva risvegliato verso l'evento, verso la Scelta che li aveva resi le persone, i Risvegliati che erano.

 

La voce del Tengu è appena un sussurro:

"Gorgoglia tranquilla come le mie sorgenti di montagna,

Abbracciami Sovrano,

Io ti sono accanto e ti comprendo".

 

"Per tutte le vite che Morte ha preso attraverso la mia lama,

Per tutte le vite che Fortuna ha baciato riecheggiando nel mio incanto,

Per tutte le vite che Necessità mi ha affiancato nel lungo cammino".

 

"Sia lode ai tuoi Nomi.

Sia lode all'Anello, al Cerchio, alla Ruota.

Sia lode al tuo Intreccio".

 

"E io, ora e senza indugio alcuno, Scelgo".

 

Non c'è più esitazione.

Sembra non esserci mai stata.

 

Artù parlò di nuovo: sembrava che tre voci sussurrassero direttamente all'anima. Parole che riecheggiavano nei ricordi, un suono che andava oltre la comprensione razionale, la Voce di un Eterno:

 

“Qualunque Sentiero percorri nel Giardino di Destino, sarai costretto a scegliere, non una, ma tante volte. I sentieri si biforcano e si dividono”.

 

“Ogni passo che fai nel Giardino di Destino è una decisione che prendi; e ogni decisione determina Sentieri futuri. Tuttavia, se dopo aver camminato per tutta la vita ti voltassi indietro forse vedresti un solo Sentiero allungarsi alle tue spalle; e se guardassi avanti vedresti solo la Tenebra”.

 

“A volte i Sentieri del Destino ti appaiono in sogno e cominci a riflettere. Sogni i Sentieri che hai percorso e quelli che non hai mai preso... I Sentieri divergono e si ramificano e si ricongiungono, e si dice che nemmeno Destino sappia con certezza dove porta ogni Sentiero, dove conduce ogni svolta, e ogni curva. E anche se Destino potesse rivelartelo non lo farebbe. Perché mantiene i suoi Segreti”.

 

“Perché ogni uomo Sceglie il suo Sentiero, il suo Destino. Il Giardino di Destino. Lo riconosceresti se lo vedessi. Dopo tutto, è lì che andrai vagando fino alla Morte. E oltre... Poiché i sentieri sono lunghi, e non terminano neppure con la Morte”.

 

Sì, Enkada aveva già sentito quelle parole.

Mesi prima Abrham le aveva spiegato l’essenza di Destino, e quelle frasi, archiviate in qualche e-mail con una vecchia data, le erano rimaste dentro, le aveva fatte sue. Ogni uomo sceglie il suo sentiero. A ognuno il suo destino.

 

Tengu cadde di peso e l'acqua lo schiaffeggiò giusto in tempo.

Scosse la testa, sembrò riprendere conoscenza.

In quell'istante le prime luci dell'alba penetrarono nel Sacrario e si riflessero sulle acque.

 

 

Parte quarta: LIBERI DESTINI

 

 

Persi nel ricordo del Risveglio gli emphatici contemplarono la luce del sole nascente raggiungere il Sacrario: il crepaccio che si apriva nella volta della grotta era inondato dai raggi, l'intera grotta ne era illuminata, il lago trasformato in un’oasi di luce riflessa, luce che non abbagliava, ma che rischiarava e riscaldava. Il Sovrano si era affacciato al suo Sacrario, e osservava ciò che gli Uomini avrebbero Scelto.

Arthur scrutò in silenzio i volti dei compagni: la luce donava ai loro tratti una nuova forza. Percepiva le loro emozioni come il rumore di una cascata, il rumore di mille ruscelli che assieme si gettano nel vuoto. Ciascuno era legato agli altri, ora come mai prima. I Fili del Destino li univano indissolubilmente. Ciascuno era giunto in questo luogo per la sua strada, per le sue Scelte. Ma ora avrebbero proseguito assieme.

Tengu taceva.

Silenzio che rimbombava fuori e dentro di lui.

Non c'era bisogno di parole per celebrare un’alba o un risveglio: in realtà si rimane sempre imbambolati e stanchi, vittime della propria inadeguatezza... e così fu. Marco rimase con il labbro inferiore rotto da un morso che non poteva ricordare, con il polso stretto dai fili del proprio destino, e le caviglie intorpidite e doloranti.

Immobile per la troppa emozione.

Paralizzato dall'universo-se stesso.

Abbagliato come un animale selvatico dai fari di una macchina. Vulnerabile nella sua forza. Alla fine di un cammino, ma da un certo punto di vista, anche all'inizio.

Si destò con una goccia nell'occhio destro.

Lo strizzò e scosse la testa, poi cercò con lo sguardo qualcuno, lo trovò vivo. E la calma finalmente scese lenta nel suo corpo, sciogliendone le tensione, accarezzandone le forme... per poco forse, ma quel sole l'avrebbe aiutato ad essere qualcosa di più... e non solo per una manciata d'istanti... così debole e forte...

 

Ci fu un movimento di disagio tra gli empatici: qualcuno si era accorto che i fili intorno al polso cominciavano a stringere un po’ troppo. Sembravano essere divenuti più corti, non erano più immersi in acqua, ma tesi tra loro e le ruote del Kalpa. Un trucco? Un effetto del rituale? Con i Destinanti non si poteva mai sapere. L'indolenzimento crescente al polso ne testimoniava la realtà.

Tengu gonfiò i muscoli bianchi del braccio. I fili... rialzò lo sguardo passandolo in quello dei presenti: dinanzi ad alcuni le lacrime premevano da dietro le barricate... dinanzi ad altri quasi si aprì un sorriso...

Il filo nero stringe il polso di Daniela. Le sembra di risentire la voce di Arthur, in quel ristorante dove, entrando, era ancora una giovane donna ignara: la voce di Arthur senza più alcuna traccia dell'ironia che aveva parlando di quel libro di Taliesin e l'improvvisa durezza degli occhi mentre le rivela della morte di erebo. Morte ha salutato la sua scoperta del Pathos.

Il filo stringe. Con tutto il mio cuore voglio essere fedele alla Morte. Con tutto il mio cuore voglio dimenticarla. In silenzio, nel buio del Sacrario che Daniela contempla, dentro di sé, i Sette si dispongono sui loro Troni.

 

La luce nella grotta aumentò ancora, il Sole continuava la sua ascesa.

Destino osservava curioso.

Con un rapido movimento delle braccia Arthur tirò i fili che gli legavano il polso, finché non furono tesi al massimo con il Nodo al centro del Kalpa. Sembrò volerne saggiare la resistenza. Forse era il riflesso della luce, ma nello sguardo dell'Irlandese si era accesa una fiamma selvaggia, quasi estatica. Anche il suo corpo tradiva un'emozione intensa. I tatuaggi e le cicatrici sulle braccia e il torso risaltavano in maniera inquietante. Tutti percepirono la sacralità del momento, la sfida che rappresentava, e incosciamente si trovarono a tendere anche i loro fili.

La voce di Arthur parlò si levò per l'invocazione finale:

 

“A Bha giunse la notizia della Sfida dei Sette, i Pilastri avrebbero preservato l'Anomalia. Ciascuno di loro a modo suo era profondamente legato alla Realtà Anomala. Il Sovrano conosceva il Destino di questa Narrazione Anomala, La Libertà. Era anche il suo Destino. Per impedire che il Destino si avverasse Bha colpì senza esitazione ed egli fu Morte, Fortuna e Necessità. Fino alla Fine della Narrazione, fino alla Riunificazione del Seme”.

 

Il Nodo al centro della Ruota del Kalpa ondeggiò tirato dai fili di ciascun empatico.

 

“Nella Notte dell'Armageddon, Destino fu ricongiunto. Ed egli fu nuovamente se stesso. Egli fu libero dalle catene di Bha, e liberamente Scelse il suo Fato.

In quella notte rivelò il suo Volto Oscuro: il Libero Arbitrio. E ne fece dono agli uomini. Egli era Destino, e si era compiuto. Le catene di Bha erano spezzate: Destino non ebbe rimpianti, l'Uomo conosceva il Libero Arbitrio e avrebbe creato il suo Destino. La Narrazione sarebbe stata libera. Gli Uomini sarebbero stati Liberi”.

 

La tensione dei fili raggiunse l'apice, ciascuno dei presenti avvertiva che tirando un po’ di più avrebbe spezzato il nodo. Artù urlò, nella sua voce l'ultima Sfida, quella attesa da troppo tempo.

 

“GUARDACI DESTINO! NELLA LUCE DEL TUO SGUARDO.

GUARDACI! UOMINI E DONNE LIBERI!

GUARDA COLORO CHE HANNO SCELTO!

STRINGIAMO NELLE MANI I TUOI FILI, E CONOSCIAMO LE NOSTRE SCELTE

LE ABBIAMO ACCETTATE PERCHÉ ESSE SONO CIò CHE FA, DI NOI, NOI STESSI.

MA NOI SIAMO LIBERI! LA NOSTRA VITA DONATA ALLA NARRAZIONE! NOI RECLAMIAMO IL NOSTRO LIBERO ARBITRIO! È IL NOSTRO DESTINO. LA TUA EREDITÀ. LA LIBERTÀ DI CREARE IL NOSTRO DESTINO! NOI SIAMO DESTINO! PERCHÉ DESTINO È IN OGNI UOMO”.

 

Arthur alzò il braccio con cui stringeva i fili, il nodo ondeggiò al limite dello strappo. Anche gli altri lo imitarono istintivamente. Nel silenzio generale il nodo si spezzò senza rumore. E in quell'istante ciascuno trovò Destino dentro di lui. E fu Libero.

 

E allora la maledizione che incatenava i Desideri del Tengu a ricordi lontani si spezzò... come in una favola antica e dimenticata… Marco si sentì grande e in lui fu tutto chiaro.

Mai una battaglia si era rivelata così semplice da affrontare... poiché chi è il combattente e il testimone non può perderla in alcun modo...

Per sempre segnato dall'Amore.

Per sempre segnato dalla Lotta.

Per sempre segnato dalla Perdita.

Ora sapeva che lui era il suo Amore, lui la sua Lotta, e lui la sua Perdita. E allora Marco trovò Destino dentro di lui. E fu Libero.

 

E in ultimo, nella luce dorata della grotta, i cuori degli empatici percepirono un’ultima voce.

Uno sguardo fugace a Patrizia. Sugli scalini di uno splendente manicomio Daniela immagina MOMM. Prima di conoscerlo non comprendeva Follia. Si dice che non vuole piangerlo.

Una cantilena serena, oppressa da un'inesorabile condanna, vibrante di forza, invincibile canta la forza piegata dell'Uomo Libero:

 

"Omaggio a Te Destino,

Signore dell'eternità, Sovrano tra gli ETERNI,

i cui nomi sono molteplici, le cui forme sono sacre,

nascosto essere dei templi, tra cui quello di Ginevra è santo.

Sei reggitore di Berlino, e anche il potente a Sassnitz, potente a Socotra.

Sei il Signore a cui sono scritte preghiere nel nome di Anubi, sei il Principe del cibo divino in Zadar. Sei il Signore che è commemorato in Sofia, l'Anima Nascosta, il Signore di Belgrado, il Legislatore supremo a Mosca.

Sei l'Anima di Nostradamus, il suo vero corpo, e hai il tuo giaciglio a Gerusalemme. Sei il beneficente, e sei ringraziato a Palermo.

Tu lasci che la tua anima sia innalzata. Sei il Signore della Gran Casa di Karachi.

Tu sei il possente delle vittorie a Novosibirsk, il Signore dell'eternità, Governatore di Roma. La via al suo trono è in Mogadiscio. Il tuo nome ha il suo posto in bocche d'uomini. Tu sei la sostanza delle Due Terre.

Sei Merlino, nutritore di Aliria, Reggente delle Compagnie degli dei. Tu hai tra gli spiriti lo Spirito beneficente. Da te il dio di Atlantide, l'Oceano Celestiale trae le sue acque. Tu hai inviato il vento dell'ovest a soffiare tra le Montagne, e respiri dalle tue narici per la gioia del tuo cuore. Il tuo cuore rinnova la sua giovinezza, tu produci il tuo seguito.

Le stelle alle altitudini celestiali ti sono obbedienti, e le grandi porte del cielo ti si aprono davanti. Sei tu colui a cui sono indirizzate preghiere nel paradiso meridionale, e ti viene reso grazie nel paradiso settentrionale. Le stelle perenni sono sotto il tuo controllo, e le stelle mobili sono i tuoi troni. Offerte ti appaiono innanzi al decreto di Averroè. Le Compagnie degli Dei ti ringraziano, e gli dei di Parigi annusano la polvere nel renderti omaggio. Le parti estreme della terra si piegano innanzi a te, e i limiti dei cieli ti trattengono con suppliche quando ti vedono. I santi sono stupefatti davanti a te, e tutto il Reale ti offre pegni di ringraziamento quando incontra la Tua Maestà. Tu sei lo scintillante Corpo-Spirito, reggente dei Corpi-Spiriti; il tuo rango è immutabile e stabilito il tuo dominio.

Tu sei il beneficente SOVRANO della Compagnia degli ETERNI, grazioso il tuo volto e amato da chi lo vede. Temono di te in tutte le terre in forza del tuo amore perfetto e ti urlano il tuo nome facendone il primo tra i nomi, e tutti ti fanno offerte. Molte sono le grida che ti sono alzate al festival carnevalesco, e con una sola voce e un solo cuore il Reale ti innalza grida di gioia. Tu sei il signore che è onorato in cielo e in terra. Molte sono le grida che si alzano a Te al festival di carnevale, e con una sola voce e un solo cuore ogni Reale alza grida di gioia a Te. Tu sei il Gran Capo, il primo tra la tua stirpe, il Sovrano della Compagnia degli ETERNI, il fondatore del Giusto e del Vero attraverso il Mondo.

Tu sei il prediletto del Reale, il potente valoroso, col tuo figlio hai abbattuto il demonio-Demogorgon. Tu sei rimasto saldo e abbatti il tuo nemico, e incuti timore di te nel tuo avversario. Tu porti i confini delle montagne. Il tuo cuore è fermo, le tue gambe sono salde. Tu sei l'erede della sovranità sulle Due Terre.

Tu hai fatto la terra con le tue mani, e le acque, i venti, e la vegetazione, e tutti gli armenti, e tutti i volatili piumati, e tutti i pesci, e tutte le cose che strisciano, e poi tutte le bestie selvatiche, tutti gli immortali e gli uomini, quelli schiavi e quelli liberi.

 

Gli uomini liberi cantano liberi le tue lodi”.  

 

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