Il Cavaliere del Ricordo I: 
il Principio e la Fine

 

di Alexander Haag


Su un ponte di una vecchia città un uomo cammina lentamente. Il vento freddo soffia alle sue spalle, alzando polvere e pezzetti di carta. Piccoli turbini si creano qua e là ed attraggono il suo sguardo. Sembra che ponderi ogni passo mentre avanza; una ragazza incrocia il suo cammino e due sguardi si incontrano furtivi. Gli occhi della frettolosa studentessa esitano un po' di più su quegli dell'uomo: li trova due piccoli pozzi neri di tristezza e malinconia, ma non ha tempo per queste cose e passa oltre. Di quell'incontro rimarrà nella sua mente piena di preoccupazioni universitarie solo un flebile ricordo, che presto sbiadirà fino a scomparire del tutto. Quell'uomo invece ha guardato la donna come se non ci fosse sorridendo perché in lei rivedeva in realtà altre donne... ed in particolare una dolce e forte donna conosciuta per poco tempo, ma che segnò più di tutti la sua vita.

Si ferma. È più o meno a metà del ponte, sullo stretto marciapiede che permette di attraversarlo: il vento ora soffia investendo in pieno il suo volto. Osserva il panorama: dolci montagne ricoperte di neve e piccoli paesini montani si delineano all'orizzonte, mentre nuvole bianche e morbide si abbassano dai picchi, lente ma inesorabili. Guarda in basso e si chiede cosa stiano pensando quelle persone lì sotto, piccole come formiche, ma indaffarate così tanto da non riuscire a fermarsi mai un po' di tempo per riflettere e ricordare le loro vite e quelle degli altri che hanno incrociato... anche solo per un istante... anche solo per un misero, eterno, secondo...

 Circa tre anni fa, una stanza da letto di un appartamento a L'Aquila.

Un uomo non dorme: da qualche tempo alla stanchezza del lavoro subentra un'inspiegabile senso di disagio che non fa altro che rendere ancora più pesante questa stanchezza. Si rigira nel letto senza trovare pace; poi la finestra si apre spinta dal freddo vento invernale di quella città di montagna interrompendo violentemente il finto riposo dell'uomo. Si tira su di scatto sul letto, cercando con la mano gli occhiali sul comodino.

La finestra è spalancata: il vento freddo della notte invernale lo stringe fra le lenzuola, ma ancora di più lo fa rannicchiare incredulo una visione che dura un piccolo istante. Una donna di una bellezza antica avvolta in una dolce stoffa bianca era per un istante davanti a lui, fra il suo letto e la finestra: i suoi capelli ricci e scuri ondeggiavano, mentre il vento scopriva e nascondeva in un continuo gioco le forme accattivanti... e quegli occhi... quegli occhi neri come la notte senza luna, ma dolci come il nettare degli dei... il tempo di chiudere gli occhi e di riaprirli per la sorpresa, che la visione non v'era più. E l'uomo stranamente ma finalmente sereno riesce ad addormentarsi, come accarezzato da una mano materna, mentre la finestra si richiude velocemente come si era aperta.

 Circa tre anni fa, il laboratorio di fisica nei seminterrati dell'Università de L'Aquila.

- Che c'è Alexander, ti vedo strano-

- Cosa? Dici a me... scusa, Claudia, non ti stavo a sentire-

- Appunto- dice una ragazza, carina e piccola di statura, una specie di bambolina dagli occhi vispi- è tutta la mattina che hai la testa fra le nuvole... per fortuna che stai usando il computer... altrimenti sai che casino con la presa dati!- e ride dolcemente.

- Hai ragione- le risponde un uomo dall'aria un po' sbattuta, - il fatto è che non dormo bene ultimamente- continua, massaggiandosi il collo con un mano, - forse sento freddo... o forse in palestra mi sbatto un po' troppo... non lo so- poi si gira verso lo schermo del computer cercando di riprendere dal punto in cui era stato interrotto. Claudia si volta tornando ai suoi affari, scuotendo un po' la testa e sorridendo amorevolmente.

- Macché!- esclama dopo un po' Alexander- oggi non combino un cazzo! Meglio prendersi un caffè... tu vuoi qualcosa, bella?- chiede alzandosi e afferrando la giacca sul tavolo vicino.

- Si... un tramezzino... ho una fame oggi!- gli risponde la ragazza, sorridendo: quanto è dolce, pensa Alexander, come pensa ogni volta quando incontra quel sorriso caldo e sincero.

- Vada per il tramezzino... ma non mi ingrassare, capito? - le risponde scherzando, ed un dito medio alzato lo accompagna mentre esce dalla stanza.

Il solito percorso: quattro anni che fa il solito percorso dal laboratorio al bar per prendersi il caffè.

- E che cazzo!- pensa e forse dice a voce bassa, - Variamo un po'... vediamo che bella gente c'è al primo piano!- e così svolta a destra prendendo le scale per il piano superiore. Apre sicuro la porta con la maniglia antipanico e... POOM! - Oddio!- esclama, sperando di non aver fatto troppo male al poveraccio che ha preso con la porta - Scusami, veramente...- ma non può fare a meno di osservare lo strano individuo, tutto vestito di nero, capelli rasati e biondi e occhiali da sole un po' spostati dall'urto (ma è inverno! e siamo a L'Aquila!). L'uomo appare un po' sconvolto mentre con una mano si tocca la fronte con l'altra si toglie dall'orecchio un auricolare. L'unico occhio che si vede è totalmente spalancato e rapidamente si muove guardandosi in giro.

- Sono mortificato, - dice Alexander nonostante gli sembri che ci sia qualcosa di strano in quell'incontro, - si è fatto male... cioè, le ho fatto male? Non immaginavo... - eppure quell'uomo... che ci fa un tizio del genere in facoltà... anzi, che ci fa nei seminterrati!

Ma lo strano individuo si ricompone velocemente: toglie la mano da davanti al viso e, con il naso ancora integro e solo un po' la fronte arrossata, si stringe la giacca attaccandosi il bottone ed esclama: - Non si preoccupi... non mi sono fatto niente... se permette - fa cenno di voler passare e sorpreso, Alexander, scusandosi ancora, lo fa passare aprendogli la porta. Mentre lo osserva allontanarsi, prima che la porta si richiuda, l'uomo si volta indietro rimettendosi l'auricolare. La porta si chiude e con essa ogni altra domanda su quello strano incontro viene dimenticata...

Circa tre anni fa, una stanza da letto in un appartamento a L'Aquila.

Un uomo continua a non dormire: da ormai troppo tempo il suo sonno non è tranquillo, il suo riposo non è più tale. Non vi è una ragione, purtroppo: il lavoro non è stressante, anzi, e gli amici non lo lasciano mai solo... non capisce da dove nasca questa sensazione tremenda di vuoto e di angoscia... ogni tanto un ricordo... il suo ricordo... ma è un ricordo che gli piace, che lo tranquillizza. Ma allora perché questa sensazione addosso?

Un rumore alla finestra, forse un uccello, forse il vento che smuove un po' troppo le vecchie finestra della camera... poi ancora... un rumore più forte di prima e un freddo intenso che attraversa le coperte... il vetro che trema... il vento che irrompe... una vita che sta cambiando...

L’uomo si alza di scatto sul letto: cerca gli occhiali frenetico con un mano, mentre l’altra accende la luce sul comodino. Si guarda intorno, una speranza nascosta nel cuore. Ma subito tale speranza viene sopita: si alza lento e chiude la finestra. Non vede il piccolo uccello sul davanzale. Scosta le tende e benché stanco decide di non riprovare a dormire. – Tanto è inutile – dice a voce bassa. Afferra la camicia del giorno prima, appoggiata frettolosamente sulla poltrona ed ora un po’ spiegazzata: il freddo è sempre pungente nel suo miniappartamento. – Per forza – si rimprovera da solo – non accendi mai il riscaldamento! – e sorridendo della sua ingenuità che lo fa parlare da solo, decide di andarsi a fare un buon caffè.

La stanchezza di molte notti passate senza dormire si fa sentire e l’andatura dell’uomo è lenta, un po’ incerta: arrivato in cucina inizia meccanicamente a preparare il caffè. Sciacqua un poco la caffettiera, la apre e la pulisce anche dentro: l’acqua fredda sulle mani lo aiuta a svegliarsi di più.

– Non ho neanche visto che ora è – dice ad un sé stesso sempre meno assonnato mentre aperto il contenitore del caffè cerca un cucchiaino nel cassetto. Riempie la macchinetta e la mette sul fuoco. Ora deve solo aspettare: l’orologio segna le due di notte. TicTac TicTac TicTac. Aspettare qualche minuto: l’orologio segna le due di notte. TicTac TicTac. Aspettare solo: l’orologio segna le due di notte. TicTac. Aspettare: l’orologio è immobile. Il Tempo si muove troppo lentamente. Tic. L’Eternità in un secondo. Una sensazione di infinita tristezza nel cuore: perché? Un profumo nella stanza. Un flash nella mente. Una nuova sensazione: viene investito da immagini che non ricorderà mai ma che conserverà per sempre. Il Tempo riprende il suo corso. L’Eternità in un secondo. La Consapevolezza di un istante, in un istante. Tac. TicTac TicTac TicTac. Il rumore del caffè ormai pronto lo scuote. Un qualcosa di strano addosso, mentre versa il liquido scuro e profumato nella tazzina. Una sensazione indefinibile ed indefinita che lo avvolge: beve il caffè senza sentirne il sapore. L’Eternità in un secondo. TicTac. La Consapevolezza. TicTac. E poi un telefono che suona nella notte: l’uomo si scuote come svegliandosi e sorpreso va veloce a rispondere alla chiamata inconsueta. Alza la cornetta, ma sente solo la linea libera. E si ritrova con la cornetta in mano ad osservarsi nello specchio dell’ingresso: pensa alla strana sensazione di poco fa. – Che mi sta succedendo... devo dormire... – si dice. Lascia il telefono staccato, la cornetta che penzola dal mobile. Lentamente si dirige verso la camera da letto: non si accorge delle tende non più tirate, né di quel piccolo uccello che è ancora sul davanzale. Il freddo contatto delle coperte gli concede un brivido piacevole. Si avvolge totalmente: non si è neanche tolto la camicia, ma non se ne è reso conto. Giusto il tempo di poggiare gli occhiali e spegnere la luce: l’uccello sul davanzale spicca il volo ed il sonno arriva a calmare la mente di quell’uomo.

Nelle terre degli dei, nel luogo che non esiste. Il Dominio di una Dea.

L’uomo apre gli occhi. Una voce familiare lo sta chiamando: la voce di una donna conosciuta da poco, in un modo strano, inconsueto, misterioso. Il suo nome è Monica. Il suo cognome... non lo ricorda, non lo sa. Ma non importa. La cosa più strana è sapere che quella voce è sua ma sapere anche di non averla mai sentita parlare: Monica è una donna (ma ne è poi così sicuro?) incontrata in una chat qualche giorno fa (ma cosa è il tempo lì dove si trova ora?). Parla di cose incomprensibili, ma che lo affascinano, lo rapiscono, lo portano a chiedere, a voler sapere. Cosa? La verità. Ma quale verità? Quella nascosta, quella non detta, quella che da sola basta a soddisfarti. Quella donna parla e non dice, svela e nasconde allo stesso tempo: sei un ignaro, Alexander, sei un Ignaro. Così ripete quando la discussione si fa troppo pressante. Che vuol dire il suo ignaro? Cosa nasconde? Cos’è che non dice?

- Alexander, – ecco la voce  che chiama ancora l’uomo, – non avere timore. Lasciati andare. Stai calmo – continua quella voce di donna e l’uomo lascia perdere le domande, abbandonandosi a quel richiamo – Bene così... vuoi risposte, vero? Vuoi capire... – ridacchia – o almeno vuoi provare a capire... Bene, sei pronto? – una domanda che non ha bisogno di risposta – La mia Signora vuole vederti... o meglio vuole farsi vedere... – e l’uomo si trova sospeso nel vuoto, la mente pronta al cambiamento, nel cuore nuove sensazioni che si creano e si distruggono un attimo dopo. La sensazione di non farcela a sostenere quello stato. La mente vacilla ed il cuore trema. Poi la calma. La consapevolezza. Ed un’immagine che mai lo abbandonerà.

  

I suoi occhi hanno visto ciò che solo a pochi uomini è stato concesso vedere. Nessuna parola può descrivere. Nessun termine è adatto. Nessuna frase utile a ricordare. Solo quei tre piccoli fiori bianchi sul pavimenti. Sono dei fiordalisi e nel raccoglierli quell’uomo sente per la prima volta il flusso potente ed eterno delle emozioni. Nulla è come prima. Tutto è come doveva essere.

 Il Cavaliere del Ricordo


 


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